Il fascino senza tempo del mito di Aretusa, la straordinaria suggestione di luoghi splendidi alcuni dei quali “riconquistati” alla quotidiana fruibilità dopo circa 40 anni di oblio, la magia che solo le calde notti di estate sanno regalare, il piacere di un viaggio immaginifico nel tempo e nei luoghi della Magna Grecia, l’incanto di prodigiosi giochi di luce che meglio di ogni altra cosa raccontano come l’innovazione non cancelli ma, semmai, sottolinei ed esalti il valore delle antiche “pietre”.

Come un cocktail capace di rinfrescare senza stordire, il progetto performativo che sino a sabato 28 sarà possibile seguire ogni sera – in cinque turni, uno ogni trenta minuti dalle 20,30 alle 22,30 – all’interno del Parco   archeologico della Neapolis è una di quelle esperienze che vale la pena di fare. Lo spettacolo si inserisce bene nel solco  di una maniera di fruire dei beni archeologici attraverso un loro uso sostenibile, senza puntare sui grandissimi numeri (cosa, per altro, nemmeno ipotizzabile in quest’era di perdurante emergenza covid), mettendo assieme anche espressioni artistiche diverse che sin integrano al meglio. E’ un modo per conoscere luoghi magici, identitari, che parlano delle nostre radici. E’ un modo per  scoprirli o riscoprirli, prendendoci il giusto tempo per farlo, andando oltre quella sorta di (nefasto) imperativo al quale un po’ tutti sembra facciamo fatica a sottarci: fare tanto-troppo-nel-più-breve-tempo-possibile.

Il pubblico, organizzato in gruppi non particolarmente numerosi (accorgimento necessario considerata la caratteristica itinerante dello spettacolo) e munito di elmetto protettivo (in grotta la prudenza non è mai troppa…)  si muove lungo un percorso seguendo attori e danzatrici prima per raccogliere, in apertura, le “inconfessabili” confessioni di un satiro a caccia delle ninfe, per passare quindi ad ascoltare il coinvolgente racconto della dea Artemide. E’ stata lei  che trasformò la ninfa Aretusa in fonte per aiutarla a sfuggire ad Alfeo che, impazzito d’amore, venne a sua volta trasformato da Zeus in un fiume che dalla Grecia, attraversando l’intero Ionio, lo portò sino a Ortigia per unire finalmente  le proprie acque con quelle della fonte Aretusa.

E’ qui che la suggestione del racconto e lo stupore del videomapping – che  trasforma le pareti della Grotta dei Cordari (finalmente di nuovo visitabile) e della Grotta del Salnitro in una quinta vestita solo di luci e immagini – regala uno spettacolo che lascia il segno.

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