Nei nostri giorni le persone sono invase da tante paure del domani, dalle incertezze dell’oggi, dal disorientamento esistenziale, da un malessere profondo che talvolta sfocia in una rabbia esplosiva, dalla constatazione che la pandemia ha accresciuto il divario tra la ricchezza di pochi e la povertà di molti. Qualcuno ha parlato del “male di vivere”.

Solo un Bambino potrà salvarci: “Oggi è nato per voi un Salvatore che è Cristo Signore” (Lc 2,11). Nasce a Natale ma viene per noi ogni giorno. Il Natale è un mistero di una sconvolgente profondità che dà le vertigini: il mistero di un Dio che si fa uomo, un Dio che si spoglia della sua onnipotenza e assume la natura umana in tutta la sua povertà e precarietà, un Dio eterno che entra nel tempo e nella storia, anche nella nostra storia tormentata, un Dio infinito che si rende limitato nello spazio breve di una vita umana, un Dio immortale che diventa mortale perché uomo.

San Paolo ci dice che Dio, “da ricco che era si è fatto povero per voi, perché voi diventasti ricchi per mezzo della sua povertà” (2 Cor 8,9). La povertà radicale di Gesù non è quella per cui egli nasce in una grotta anziché in uno splendido palazzo. Questa è soltanto la manifestazione esterna di una povertà ben più radicale: la povertà di Dio è quella per cui Lui diventa mortale.  E in realtà il racconto della Natività di Gesù nei Vangeli si snoda avendo presente la memoria inquietante della sua Passione. Le fasce con cui viene avvolto il corpo di Gesù bambino evocano il lino con cui è avvolto il corpo di Gesù morto. Il gesto di Maria che depone il corpo di Gesù bambino nella mangiatoia evoca la deposizione di Gesù morto nel sepolcro. Questo bambino porta già i segni e il destino del Crocifisso.

Ma perché Dio si è fatto povero? Per arricchirci con la sua povertà. Con la sua Incarnazione si è fatto nostro fratello, nostro compagno di viaggio, ci ha reso partecipi della sua vita divina, facendosi nostro fratello ci ha reso figli di Dio, ci ha restituito la dignità di figli di Dio. Con l’Incarnazione quanto appartiene al Verbo eterno è trasmesso all’uomo, ci è donata la rinascita in Cristo, la dignità divina. Il Figlio di Dio è diventato ciò che noi siamo perché noi potessimo diventare ciò che Egli è. Ecco la ricchezza che ci ha donato.

Nascendo tra noi il Verbo eterno ha vinto la nostra solitudine: la solitudine causata dal vuoto di ideali, di sentimenti veri, di valori che alimentano la vita. Con l’Incarnazione il Verbo diventa il Dio-con-noi. Non siamo più soli.

Tutti abbiamo bisogno di trovare Qualcuno che dia consistenza, che dia certezza, che dia fiducia, che dia speranza e che dia eternità a quello che abbiamo nel cuore. Nessuna vita umana avrebbe un senso e una consistenza se Cristo salvatore non si fosse incarnato nell’uomo e non l’avesse redento. E allora scopriamo il nostro senso di appartenenza. Noi apparteniamo a Cristo. Cristo appartiene all’uomo, è dentro l’uomo.

Mentre sperimentiamo che nella società, dove arretra la religiosità avanza la barbarie, Cristo è venuto per umanizzare l’uomo, per salvare quello che c’è di umano nell’uomo, per innalzare l’uomo alla dignità di figlio di Dio.

Il mistero della Incarnazione del Verbo eterno è un mistero di amore, un mistero di salvezza. E noi siamo chiamati a pensare dentro il mistero. Siamo chiamati a meditare in Silenzio. La Notte di Natale è una notte di Silenzio, dove lo stupore ti lascia senza parola. Solo nel Silenzio possiamo percepire il messaggio comunicato dagli Angeli ai pastori: “Vi annuncio una grande gioia: è nato per voi un Salvatore!”. Proprio nella notte dell’uomo irrompe la luce di Cristo. Senza Cristo l’uomo vaga nella notte: perde il senso della sua vita, non sa più da dove viene né dove va, non sa perché vive. È disorientato, è smarrito. Il Concilio ci dice che “solo nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Cristo, proprio rivelando il mistero di Dio e del suo ineffabile amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione” (GS 22).

Questo mistero di amore è rivelato dal fatto che Dio ha lasciato il suo Paradiso per venire sulla terra, anzi trascina con sé il Paradiso e lo porta in mezzo agli uomini che lo accolgono.

Il Signore non ci toglie dalle sofferenze, ma dà un senso alle nostre tribolazioni. Non ci salva dalla Croce, ma ci salva per mezzo della Croce. Il nostro è un Dio che ha il volto dell’uomo, un Dio che si identifica  con l’uomo sofferente, angosciato, rifiutato, con chi ha fame di pane  e di amore.

Contempliamo questo Bambino. Lasciamoci interrogare da questo Bambino. Lasciamoci attrarre da questo Bambino. Lasciamoci salvare da questo Bambino. Lasciamoci cambiare da questo Bambino. Se nella nostra vita non cambia qualcosa questo Natale sarà passato invano.

Invece io auguro a noi tutti che la luce che splende nella notte di Natale possa risplendere sempre nella nostra mente e nel nostro cuore, che la stella del Natale ci orienti nel cammino della vita, che l’incontro personale con Cristo segni una svolta decisiva nell’esistenza, che il nostro cuore si apra e accolga tutti coloro per i quali non c’è posto nella società come non ci fu posto per Cristo, che è nato in una grotta. Fare spazio a Cristo e alla sua Parola di luce e di salvezza significa creare le premesse per costruire una società più giusta, più umana, fondata sulla fraternità e sull’amore.

  • Nella immagine in evidenza uno dei presepi esposti nella chiesa madre di Melilli.
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