TOTOQUIRINALE: DA MATTARELLA AL MATTERELLUM?

Sono stati convocati per il prossimo 24 gennaio i 1009 grandi elettori che dovranno votare il successore di Sergio Mattarella alla carica di Presidente della Repubblica, il 13° dall’entrata in vigore della costituzione.

L’inquilino del Quirinale spesso viene definito come “arbitro” del gioco istituzionale. Fra i delicati compiti a cui è chiamato c’è l’incarico di lanciare la palla a deputati e senatori per la scelta, sovente in Italia, del presidente incaricato alla formazione del Governo, da proporre al voto essenziale e definitivo del Parlamento, questo perché l’Italia è una repubblica parlamentare.

Tuttavia la cosiddetta “costituzione materiale” ha registrato un’azione sempre più significativa del “primo cittadino d’Italia”, tanto che nessuno più si azzarda più a pensarlo come mero notaio della volontà di deputati e senatori.

Da quello che si sente in questi giorni, inoltre, pare proprio che le attuali rappresentanze partitiche abbiano dimenticato che il Presidente è soprattutto il custode della costituzione e che svolge questo ruolo in modo attivo.

Il prestigioso incarico, inoltre, non è una semplice medaglia da mettere al petto ma è il simbolo stesso dell’unità nazionale. Aspetto, quest’ultimo, incarnato al meglio da Mattarella soprattutto nella delicata fase pandemica.

Se si conviene su questi dati di fatto si può capire perché il dibattito che si sta sviluppando per arrivare al voto dei grandi elettori non appaia convincente, troppo viziato da posizioni contingenti e di parte.

C’è chi vuole un presidente che non mini il prosieguo della legislatura; chi auspica un presidente in grado di tenere a bada i mercati finanziari; chi un presidente “donna” per il solo fatto che lo sia (con buona pace, paradossalmente, per le teorie sostenute dal marito della Ferragni) e così via… dimenticando, forse, che la presidenza della Repubblica è una carica che ha davanti ben sette anni.

Appare dunque evidente che al momento le elezioni presidenziali siano minate da miopia acuta e, soprattutto, dalle scellerate conseguenze delle incostituzionali leggi “ad porcellum” che consentono a pochi capi partito di “nominare” e quindi condizionare buona parte dei deputati. Condizionamento amplificato ancor più dalla riduzione degli scranni parlamentari a partire dalla prossima legislatura.

Perché allora non sparigliare le carte e prima ancora di proporre un nome alla presidenza della Repubblica non azzardare un programma presidenziale? Perché non ricercare un Presidente che abbia quale priorità quella di riportare la Costituzione al primo posto? Un Presidente che sia in grado di ridare all’Italia un parlamento capace di sentire “l’odore delle pecore”, cosa possibile facendo rivotare gli italiani con il sistema elettorale già voluto con i referendum maggioritari degli anni ’90. Un Presidente che, in qualità di capo del Consiglio superiore della Magistratura, si impegni a restituire credibilità al sistema giudiziario della Nazione, aspetto sul quale gli italiani avevano a suo tempo già manifestato il proprio sentimento, sempre attraverso il voto referendario.

Come dire, se non si parte dalla riparazione delle fondamenta è difficile pensare ad un’autentica ripartenza del sitema-Italia né che si possano impegnare al meglio i fondi messi a disposizione dall’Europa per le nuove generazioni.

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