Celebrata ieri la Giornata mondiale indetta dall’Unesco
Era il 13 febbraio 1946 quando l’Onu, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, diffuse la sua prima trasmissione radiofonica.
Sessantacinque anni più tardi e in un millennio diverso – era il 2011 – l’Unesco stabilì che, a partire dall’anno successivo, ogni 13 febbraio venisse festeggiata la Giornata mondiale della radio, proprio in ricordo di quella pionieristica trasmissione che l’ONU diffuse in un momento nel quale il mondo provava ad uscire dal tunnel degli orrori della guerra.
Una Giornata che, anno dopo anno, è stata meglio strutturata per celebrare adeguatamente un mezzo sempre più vivo e vitale nonostante foschi presagi (ricordate quel video killed the radio star, la tv ha ucciso la stella della radio, hit di successo all’alba degli anni ottanta del vecchio secolo del gruppo britannico “The Buggles”, che ancora oggi capita non di rado di ascoltare… proprio alla radio?) e lo scompiglio creato dalla rapidissima ascesa del web. La radio era e resta lo strumento principale attraverso il quale si diffonde quella sorta di vera e propria – e personalissima – colonna sonora che accompagna la nostra quotidianità facendoci immergere in un mare di musica, notizie e informazioni nel quale un po’ tutti navighiamo con sufficiente disinvoltura.
Il tema del World Radio Day 2022 è stato “Radio and Trust“, radio e fiducia, ed è stato suddiviso in tre sottotemi principali. Tra questi voglio fermarmi sul primo, fiducia nel giornalismo radiofonico: per incentivare la produzione di contenuti indipendenti e di alta qualità nell’attuale, frenetica era digitale, e l’utilizzo di informazioni verificabili, condivise nell’interesse pubblico.
Il connubio tra giornalismo, informazione e radio è stato da sempre solidissimo. Per restare a casa nostra, i giornali radio della Rai sono stati a lungo (specie prima del fenomeno delle radio libere e del successivo avvento dei circuiti e delle syndacation radiofoniche con una più marcata connotazione commerciale) autentiche palestre nelle quali si sono forgiati e formati i migliori talenti del giornalismo. Quando la tv in bianco e nero teneva quasi in stato di ipnosi davanti agli schermi milioni e milioni di italiani che scoprivano i varietà del sabato sera (con negli occhi i primi scabrosi costumi di scena di alcune audaci ballerine e nelle orecchie le “nuove” melodie di una musica che, con i suoi interpreti più giovani, iniziava a cambiare lo spartito collettivo sino a quel momento dominato dal bel canto) la radio diventava il laboratorio nel quale si sperimentava, si provava a cambiare passo. E non soltanto sul fronte della pura informazione, settore nel quale veniva ad essere diluito, in percentuali appena percettibili (e per lo più affidate alla maggiore o minore duttilità del conduttore), un pizzico di intrattenimento.
Il vero punto di svolta, diventato patrimonio comune di intere generazioni di (allora) giovani che affascinati dal poter fare radio (e non soltanto ascoltarla) si avvicinarono, anche attraverso questo mezzo, al mondo dell’informazione, si è verificato alla metà degli anni settanta dopo la storica sentenza della Corte Costituzionale che, di fatto, ruppe il monopolio Rai. Un cammino per nulla agevole visto che, ancora oggi, uno dei padri del nuovo modo di fare radio, Claudio Cechetto, ricorda che “Nei primi sei mesi di vita della radio, tutte le volte che suonavano al campanello non sapevi mai se erano i carabinieri, venuti a sigillarti il trasmettitore, o chi altro. Rischiavamo anche la galera: il nostro cuore ci diceva che non facevamo niente di male, che non stavamo andando contro niente e nessuno, però che ne sapevamo, le leggi… Eravamo consapevoli di non essere delinquenti, ma solo delle persone che stavano facendo qualcosa che in America ormai era un fenomeno affermato da tempo”. Immergersi in quel tempo, in quelle stagioni che oggi ci appaiono assai più distanti di quanto non dicano gli anni effettivamente trascorsi, vuol dire andare a recuperare in angoli più o meno remoti della memoria collettiva quello stato di euforia che accomunava chi la radio la faceva – i famosi speaker e i primi dj che uscivano dal recinto delle discoteche conquistando una notorietà sino a quel momento sconosciuta – e chi la ascoltava. Una “regola” alla quale non sfuggiva anche chi iniziava ad intravedere in quel mezzo una nuova proiezione dell’informazione su base più squisitamente territoriale. Nascevano così le prime redazioni dotate di tanto lodevole buona volontà, pochissimi mezzi tecnici, scarsissime risorse economiche e con una professionalità in larga parte ancora tutta da formare quel che non mancava, ed era il vero collante, era l’entusiasmo.
Oggi lo scenario è completamente mutato ed è profondamente connotato da una rete capace di attrarre sempre di più – non solo i giovani – che ci dà la sensazione di vivere costantemente immersi nell’informazione (che troppe volte, però, è solo qualcosa che le assomigli appena senza però essere vera informazione). E questo é anche uno scenario segnato dal moltiplicarsi di mezzi disponibili nel quale, tuttavia, il fascino della radio è rimasto pressoché intatto. Dati Ter (Tavolo editori radio) alla mano, nel 2021 in un giorno medio si registrano poco meno di 34 milioni di ascoltatori rilevati su una popolazione over 14 anni che sfiora i 53 milioni di utenti possibili: come dire, oltre sei italiani su dieci almeno una volta al giorno tendono un orecchio verso la radio. E ciò accade non sempre e non solo alla ricerca di musica, di intrattenimento puro. Sempre più spesso si smanetta tra i canali alla ricerca di notizie e di informazioni di servizio. Ecco perché quel connubio tra giornalismo e radio è, ancora oggi, quanto mai robusto e saldo. Ma è un legame che ha costantemente bisogno di essere rafforzato altrimenti quel legame fiduciario, che anche ieri si è provato a mettere al centro del World Radio Day 2022, rischia di incrinarsi sino a spezzarsi. E, probabilmente, mai come di questi tempi abbiamo bisogno di un giornalismo autentico, professionale, indipendente. Alla radio come in qualsiasi altro mezzo.
[*] Ex Post (nel senso che volevo scrivere un post ma è venuto troppo lungo…)