Titolo della settimana: Il Padrino di F. F. Coppola, 1972
“Io credo all’America. L’America fece la mia fortuna. E io crescivo mia figlia, come n’americana, e ci detti libertà , ma c’insegnavo pure a non disonorare la famiglia“. Il miglior inizio di sempre che scopre subito le carte, perché nel corso della Saga, la parola famiglia rimbomba in ogni luogo, incentrata sul racket criminale, il business, questo è fuor di dubbio, che Coppola condisce con Shakespeare, la tragedia greca e molto altro. Il Padrino è un film di mafia, inutile girarci intorno, però fateci caso, nelle 3 h dì film non sentirete mai questa parola, pare che molto forti furono le pressioni delle famiglie di N Y in particolare Joseph Colombo, uno dei Boss più influenti; e si racconta pure che forse si ci si mise anche Frank Sinatra, che avrebbe preteso che il ruolo riguardante Jimmy Fontaine venisse eliminato, convinto che Mario Puzo si fosse ispirato alla sua figura e ai suoi rapporti con la mafia; si dice pure che Frank ci avesse azzeccato ma Puzo non lo avrebbe ammesso mai. Ed eccoci a Puzo, il suo romanzo del 1969 arrivò a 15 milioni di copie vendute, cosa che non passò inosservata a Hollywood, dove la Paramount, nonostante si trovasse in cattive acque, si aggiudicò con il presidente Robert Evans che si mise immediatamente alla ricerca di un regista che avesse nel DNA sangue italiano: rifiutarono in tanti, compreso Sergio Leone che aveva già in testa C’era una volta in America.
L’ultimo nome rimasto in agenda era il 32enne F. F. Coppola, nato nel 1939 in Michigan, ma originario di Bernalda, Matera, e rimarcava la sua italianità in ogni intervista. La Paramount era convinta, visto la giovane età di poterlo manovrare a piacimento, invece da subito il giovane Francis si rivelò un osso duro, irremovibile sulle proprie idee e la sua visione artistica, difesa fino a sfiorare più volte il licenziamento, ma conquistando con questo atteggiamento la fiducia di Puzo, con il quale si stabilì un’alchimia fondamentale. Stessa musica quando si arrivò alla scelta degli attori. Al Pacino: la casa lo riteneva troppo basso per il ruolo di Michael, il successore e figlio prediletto, ma Coppola si impuntò . Completano la famiglia James Caan-Sonny, John Cazale-Fredo,Thalia Shire-Connye e il figlio adottivo Robert Duvall-l’avvocato Tom Hagen. A questo punto manca solo il patriarca, l’asse portante ed è qui che il giovane Francis cala l’asso che fa tremare i piani alti della casa, il mito assoluto Marlon Brando, che dopo un colloquio breve e coinciso, capisce al volo che il giovane Italo americano ha talento da vendere e accetta la parte di Don Vito Corleone, che oltre ad illuminare la storia rilancia la carriera del mito, che per varie peripezie negli anni 60 era in discesa.
La scena iniziale che da il Via al film è folgorante, il matrimonio della figlia Connye, dove prima di un ballo maestoso con la sposa Don Vito riceve nel suo studio visite dì “cortesia” e ci vengono presentati, con un montaggio strepitoso tutti i personaggi, con Michael che si presenta al matrimonio ancora in divisa da soldato sembrando un pesce fuor d’acqua, tanto da dire alla fidanzata, e futura moglie, Diane Keaton, “La mia famiglia è così, non mi somiglia“, ma si sa, uno nella vita può scegliersi tutto tranne i parenti. Basta questo inizio per entrare nella quotidianità dei Corleone, ogni elemento di questo film è entrato nell’immaginario e nella cultura pop ed è impossibile citare le scene può iconiche, sono talmente tante da riempire pagine intere, quando si dice che nella storia della settima Arte esiste un prima e dopo il Padrino. Tutti i film sul tema, Leone compreso, ne hanno subito il paragone, nonostante Coppola pensasse fosse brutto e cupo, salvo poi sciogliersi dopo le prime trionfali proiezioni al pubblico.
La notte degli Oscar diventò la notte del Padrino, 10 nomination e tre statuette, film, attore protagonista e sceneggiatura. Marlon Brando, a sorpresa, in segno di protesta contro le ingiustizie subite dai nativi, mandò a ritirare il premio Sacheen Littlefeather, attrice di Sangue Apache. Al Pacino rimase scandalosamente fuori dai premi. 50anni dopo il Padrino rimane un’offerta che ogni cinefilo non può rifiutare, folklore italiano e visione sociale sull’America attraverso la parabola di una famiglia, i Corleone, che Coppola sembra glorificare ma che in fondo mette in risalto debolezza e paura. Con Don Vito che lotta con tutte le sue forze per ripulire la famiglia , “Io ho sempre lavorato e non ho rimorsi, ho avuto cura della mia famiglia e ho sempre rifiutato di fare il pupo attaccato ai fili, tenuto in mano da quei pezzi da novanta, e non ho rimpianti“.
The goodfather non conta un fotogramma fuori posto, una sbavatura; fotografia notturna di Gordon Willis e musiche di Nino Rota per sempre. Film che lanciò carriere intere e una schiera di caratteristi che chiamare così è riduttivo. Due anni più tardi, un restio Coppola viene convinto dalla Paramount a girarne il seguito, sempre scritto da Puzo, Francis accetta, ma come al solito fissa i paletti: i film devono essere due in uno, le storie parallele di Michael, successore del padre e la storia di Vito ancora, Andolini, interpretato da Robert De Niro e il suo approdo in America e la scalata. Ebbene ancora una volta Francis stravince, Oscar a pioggia, siamo nel 1974 e la seconda parte più bella della storia. Nel 1990 arriverà la terza parte, nonostante squarci coppoliani, buon film di intrattenimento, ma niente a che vedere con i due monumenti precedenti. Il Padrino, per Coppola, storia capitalistica americana.