Nessuno è tanto vecchio da non credere di poter vivere ancora un anno; prospettiva certo seducente, questa enunciata a suo tempo dal grande Cicerone, ma palesemente irrealizzabile. Anche quando questa sia riferita non propriamente a se stessi ma a una persona che consideriamo particolarmente cara e particolarmente degna. Mario Grasso ci ha lasciati il 3 ottobre scorso, eppure non è esagerato dire che alla veneranda età di novant’anni aveva l’argento vivo addosso. E c’è almeno una ragione scientifica e una caratteriale che spiegano bene il significato di questa locuzione, quando la si voglia applicare allo scrittore di Acireale. Argento vivo era infatti, in passato, un altro nome del mercurio, che a tutti gli effetti risulta essere un metallo liquido dall’irrefrenabile tendenza a muoversi senza un attimo di tregua. E già questo la dice lunga sulla peculiare originalità di Grasso, che non era certo tipo da gingillarsi.

È trascorso dunque un mese dalla sua scomparsa e nonostante tutto ancora collaboratori e amici non se ne capacitano. Un po’ per la sua straordinaria vitalità, la sua cristallina lucidità, un po’ per le decine di progetti, anche a lunga scadenza, che sempre si agitavano nel suo animo battagliero e che egli andava caparbiamente dipanando, giorno per giorno. Progetti che, detto per inciso, devono essere ora portati a compimento dai suoi collaboratori, se non altro per rispetto nei confronti dello stesso Grasso, che li ha concepiti e condotti fin dove ha potuto. Si tratta di riviste, convegni, libri che non ha avuto il tempo di portare a compimento, ma che devono essere completati o gestiti in tutta la loro complessità. Mario Grasso insomma non era affatto uomo da starsene in panciolle; è stato l’amico e compianto Salvo Basso, di cui quest’anno ricorrono i venti anni dalla prematura scomparsa, a sostenere in una delle sue più belle poesie (A cuccata) che l’uomo in vacanza non ci va mai. E se questo è vero per tutti gli uomini, lo era ancor di più per Mario Grasso, poiché in lui non c’era differenza alcuna tra l’uomo e il letterato. La sua lunga vita è stata un monumento elevato allo studio e alla promozione e diffusione della cultura. Senza mai una sosta.

Grasso è stato giornalista, scrittore, poeta e punto di riferimento per intere generazioni di scrittori. In Sicilia come del resto in tutta Italia. Tra le sue molte opere, ne ricordiamo solo alcune: Le vestali di Samarcanda (Udine, 1979), Pamparissi (Prova d’Autore 1990), Fine dell’adolescenza (Prova d’Autore 1992) per quanto riguarda la narrativa; Lingua delle madri (Prova d’Autore 1994), Azzurri, meridiani dell’Es. Aspetti della pittura di Piero Guccione, (Baglieri 2011), Aquila delle poiane (Prova d’Autore 2021) per quanto riguarda la saggistica; Friscalittati (Sciascia, 1981), Tra Sole e Luna (Mondadori 1986), Concabala (Scheiwiller 1987), Tra compiute lune (Sciascia 2003), Algebre e sigilli (Catania 2021) per la poesia in lingua e in dialetto; I sette arcieri di Bajamazol (Lunarionuovo 1978) per quanto riguarda il teatro; Realismi a cupole d’oro. Antologia della poesia contemporanea dell’URSS (Prova d’Autore 1988) per quanto riguarda le traduzioni. Ha fondato e diretto alcune riviste, tra cui “Carte siciliane”, “Sicilia nell’arte e nella letteratura”, “Sumarte” e una casa editrice; ha animato e diffuso la letteratura (in particolare quella siciliana e quella di grandi autori, sconosciuti al grande pubblico) e quella popolare in decine di città della Sicilia, che frequentava, conosceva e amava. Qualche volta essendone riamato e qualche volta, no. E chissà quanti errori avrà commesso nella sua lunga e appassionata esistenza, perché solo chi è indifferente alla vita e non prende posizione, è il caso di dirlo, non sbaglia mai.

Io ho conosciuto Mario Grasso all’inizio degli anni Novanta e ricordo con piacere le prime collaborazioni: su “Sicilia nell’arte e nella letteratura”, “Arrivederci a Sortino”, “Siciliomi”. Tanti progetti, tante storie, tanti aneddoti, ma l’esperienza che più di tutte mi ha segnato è stata studiarne con pazienza e tenacia la sua opera: dalla narrativa alla poesia, alla saggistica. Anni di felice corpo a corpo, serrato e quotidiano dialogo con lo scrittore e con il suo mondo fatto di interconnessioni intellettuali e sentimenti, complesso e sfaccettato, che mi si dischiudeva, pagina dopo pagina, verso dopo verso, confronto dopo confronto e che mi ha arricchito enormemente. Ne è saltato fuori un saggio di critica letteraria, d’Intrattabile temperamento. Mario Grasso, paradossi e parossismi d’un intellettuale fuori dalla grazia degli uomini (Sciascia 2019), con il quale ho inteso fare un omaggio all’intellettuale, ma soprattutto ho voluto approfondire gli aspetti più significativi della sua produzione letteraria, mostrandone l’impostazione coerentemente unitaria. Ho scoperto un tesoro di affascinante cultura.

Mario Grasso se n’è andato in punta di piedi, con garbo e con raffinata umanità, congedandosi qualche giorno prima di morire dai suoi amici, perlopiù all’oscuro di quanto si fossero aggravate le sue condizioni di salute negli ultimi giorni. Con una telefonata o con un breve chiacchierata, di presenza. E con una telefonata mi chiedeva della alla mia partecipazione al convegno sul dialetto, “Ore in siciliano”, che si sarebbe svolta il giorno dopo, a Catania. Ho confermato che sarei andato a relazionare di presenza e lui ha confermato la sua presenza. Mi ha salutato con voce tremante e commossa, l’ho salutato. Purtroppo quel 27 settembre non ci saremmo visti, perché le sue condizioni di salute non lo avrebbero permesso. Appena qualche giorno dopo ci ha lasciati. E così ho compreso che quella nostra breve conversazione telefonica sarebbe stata l’ultima.

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