Montevergine a Sortino, da 400 anni parafulmine di spiritualità con la preghiera del SS Sacramento
Oggi, Giovedì santo, si ricorda l’istituzione dell’Eucarestia. A Sortino, dal oltre 400, anni nel complesso religioso di Montevergine (fine XVI sec.) si prega giorno e notte il Santissimo Sacramento mentre le Suore intonano i canti gregoriani. Solo nel 1866 leggi eversive dei beni ecclesiastici volute dal nuovo Stato unitario hanno messo a rischio quello che in diocesi è conosciuto come il “parafulmine” di spiritualità.
Si sa che quando 18mila lire erano molto di più degli attuali 9 mila euro, furono necessarie a preservare lo storico edificio dal secolarismo: così importante da ottenere da essere posto addirittura più in alto della dimora medioevale del Barone. Auspice il dinamismo del cappuccino p. E. Scamporlino, si raccolse la somma necessaria a riscattarlo ed evitare che lo si trasformasse in Scuola ed annessa palestra. Era il 1908 e al suo posto si scelse l’ormai disabitato Castello della dinastia Gaetani-Specchi.
Nemmeno il terremoto del 1693 arrestò la continuità della preghiera claustrale, anzi le Cistercensi di San Bartolomeo, in abito bianco, accolsero fra le loro mura le Benedettine, in abito nero, il cui fabbricato, risalente agli inizi del XVI sec.- fu interamente distrutto.
Ne scaturì un’unione feconda di vocazioni, tanto da giustificare una nuova ed eccelsa chiesa con una pavimentazione il cui disegno – forse proprio per questo – raffigurava la Pesca Miracolosa: “…getta nuovamente le reti… e subito lo seguirono”. L’usura del tempo e l’incuria degli uomini purtroppo ha cancellato dal mosaico proprio le figure dei protagonisti evangelici.
E se dal 1910 il monastero fu votato alla sola regola di Benedetto da Norcia, la provvidenza nel 2011 – grazie alle premure di Madre Paola, delle fedeli del quartiere e del dott. Vincenzo Giaccotto – ha continuato a mantenere viva la preghiera al Santissimo con l’arrivo delle Sacramentine in abito rosso guidate amabilmente da Madre Galilea.
Adesso la Soprintendenza di Siracusa ha restaurato quel che rimane delle riggiole di supposta scuola napoletana, come pare dimostrare la somiglianza di stile con la pavimentazione del monastero di Santa Chiara a Napoli o del “Paradiso terrestre e peccato originale” della chiesa di san Michele arcangelo ad Anacapri.
E pensare che un tempo, sempre la Soprintendenza, ipotizzò di riposizionare il mosaico in una parete verticale per preservarlo dal calpestio.
Ovviamente la devozione dei sortinesi per le diverse comunità monastiche che in continuità hanno impreziosito la cittadinanza iblea, è di certo la manifestazione della consapevolezza che la loro presenza va molto oltre il merito per il superbo Barocco della Chiesa della Natività, non a caso Monumento nazionale dal 1888.
Di seguito una sintesi della relazione dell’etnoantropologo Mario Lonero che è stata base per il recente restauro della pavimentazione il cui progetto è stato redatto dall’arch. Alessandra Ministeri, con la collaborazione del geom. Santi Di Pietro; importo complessivo del progetto 150 mila euro.
“Accanto al monastero di clausura delle suore benedettine, le cui origini e vicende iniziano al principio del secolo XVIº – ricorda Mario Lonero- sorge l’incantevole e singolare chiesa detta di Montevergine, un vero gioiello architettonico.
Non ci è dato conoscere quando iniziarono i lavori, ma dalla data incisa sull’arco trionfale del presbiterio sappiamo con certezza che la costruzione ebbe termine nell’anno 1774, ma fu completata nella sua ricca decorazione nella prima metà del 1779, e benedetta il 15 agosto dello stesso anno da Don Filippo Maria Carnandens, abate di Montecassino. Il vescovo di Siracusa, monsignor C. Battista Alagona, consacrò la Chiesa nove anni dopo, il 10 agosto 1788, essendo Abbadessa Sr. Celestina Maria Failla, sortinese, come si legge nella lapide posta nel fronte del sacro edificio.
L’alta, solenne plasticamente armoniosa facciata, convessa al centro e concava ai fianchi, a doppio ordine architettonico, con un ricco telaio di membrature in aggetto, con una solidità di struttura e ricchezza decorativa; opera geniale di un architetto di cui non c’è noto il nome, ma che di certo seguì l’indirizzo estetico del tempo.
Il prospetto della chiesa di Montevergine, alto circa 30 m, rivolto a sud-est, e tutto costruito con viva pietra calcarea sagomata a regolari filari di conci levigati; trae bellezza non solo dalle armoniche proporzioni di ogni elemento strutturale che richiamano il senso della perfezione, ma anche dal colore caldo dorato tendente al rosa, patina assunta nel corso dei secoli, eccezionale enfasi decorativa ammiriamo nei fini intagli che nobilitano le porte, le finestre, la cella campanaria. Peccato non poterla gustare e godere completamente, serrata come è dalle inopportune abitazioni antistanti, che ne offuscano la solennità (agli inizi dell’anno 2000 una parte del prospetto è stata liberata a cura dell’Amministrazione comunale e grazie alla sensibilità del proprietario, con la demolizione di una abitazione, ndr).
Entrando in chiesa veniamo accolti da un armonico vestibolo, tutto rivestito da filari di conci, che si estende quanto il prospetto e si conclude con un grande e alto arco ribassato; sopra vi è la grande cantoria o coro superiore, dalla quale le monache assistono alle sacre funzioni solenni ed eseguono con rara perfezione canti religiosi che attirano un grande numero di fedeli di ogni parte della città ed altrove; una grande artistica griglia convesse in legno, impostata su un parapetto ligneo adorno di fregi dorati, si protende in avanti, e impedisce che le monache siano viste dai fedeli di sotto: questa grata è coronata da un lezioso e nobile fastigio.
L’arioso interno della chiesa, ammantato dal silenzio claustrale, suscita immediatamente un fascino particolare e un senso di interna gioia e incontenibile ammirazione, tanta è l’armonia, la perfezione e la raffinatezza di tutti gli elementi e dovunque si posi lo sguardo. Si tratta di una chiesa ad unica navata, di forma rettangolare con curve angolari; ha una duttile architettura modulata e scandita da colonne e paraste, coperta da una grande volta che si imposta al suo perimetro con forma di padiglione, lunettata e scompartita da vele, illuminata da tre grandi finestre per un lato; un vero gioiello architettonico, di impeccabile gusto rinascimentale. Tralasciando le opere contenute all’interno della chiesa non possiamo fare a meno di citare l’altare maggiore posto al centro del presbiterio, eseguito su disegni del sacerdote sortinese Giuseppe Sortino; fu rivestito di marmi preziosi, quali alabastro, rosso veneto, giallo antico, pietra d’Agata e verde antico; una volta, nei quattro grandi tondi dell’alzata vi erano i simboli in argento massiccio dei quattro santi Evangelista (Matteo, Marco, Luca, Giovanni) di fattura squisita che purtroppo nel 1908, le monache, furono costrette a venderli per la necessità di racimolare il denaro per il riscatto del monastero, e dato in proprietà al Comune di Sortino.
Nell’eccezionale e suggestiva architettura, si inseriscono con armonia gli affreschi che coprono la grande volta deliziosa opera del pittore Sebastiano Monaco, nato a Catania ma sposato a Sortino.
Pavimento:Nella descrizione di questa chiesa si annota che il pavimento maiolicato a piastrelle (di Valenza), purtroppo assai deteriorato, reca l’unitaria figurazione della “Pesca miracolosa” in un ampio e ricco scenario.
Per la verità i motivi decorativi – conclude lo studioso Lonero – la posa delle figure e il loro aspetto espressivo, le scelte cromatiche, sembrano richiamare la scuola napoletana del Settecento ed in particolare gli ornati paesaggistici e i decori che riprendono motivi fitomorfici di Leonardo Chianese (metà del secolo XVIIIº)”.