La Hollywood sul Tevere: 30 Mila comparse, oltre 1000 animali, scenografie immense

Titolo della settimana: Quo vadis di Mervin Le Roy, 1951.

Mentre la Fiat sfornava le prime automobili e gli italiani, dopo il dramma del conflitto si apprestavano ad anni di meritato benessere, il cinema non stava a guardare e dopo la sfolgorante stagione neorealista, gli anni 50 certificano la potenza del nostro cinema, tanto da attirare le produzioni d’oltreoceano. Già nel 1949 si gira a Cinecittà Il principe delle volpi della Twenty century fox con due superstar, Orson Wells e Tyrone Power. Ma il film che diede ufficialmente il via alla Hollywood sul Tevere con l’invasione americana di Cinecittà è Quo vadis, girato quasi interamente negli studi nel 1950, in una delle estati più torride della nostra storia. Anno 64, a Roma è sempre più crescente la tensione tra l’ Impero, guidato da Nerone e i cristiani, mentre il console Marco Vinicio, dopo aver condotto con successo la campagna di Gallia, si appresta a rientrare da trionfatore. Giunto a Roma si innamora di Licia, cristiana figlia adottiva del Console Auro Plauzo, ma la situazione politica precipita e rischia di travolgere anche loro. Neanche l’arrivo nella città eterna di Pietro, primo apostolo di Gesù, serve a placare gli animi, e Nerone completamente fuori di sé, dà un ordine apocalittico.

Da un romanzo del Nobel alla letteratura, il polacco Enryk Sienkevicz, 30 Mila comparse, oltre 1000 animali, scenografie immense, numeri fa capogiro: osteggiato da critici e studiosi, perché ritenuto inattendibile, mentre il pubblico, senza porsi troppe domande, accorse numeroso, riempiendo le sale di tutto il mondo, lasciandosi trascinare dalla storia, che nonostante una prima parte piuttosto verbosa e qualche ingenuità e decolla e non perde un colpo. Grazie ad una buona sceneggiatura, la colonna sonora del maestro Miklos Rozsa e la smagliante fotografia di Bruce Surtees. Infine vogliamo parlare degli attori? Robert Taylor – Marco Vinicio e Deborah Kerr – Licia, una garanzia in quegli anni, e un immenso Peter Ustinov – Nerone, interpretazione che gli valse il primo dei due oscar conquistati in carriera. In piccole parti si intravedono Bud Spencer, Sofia Loren e il mitico Christopher Lee, cocchiere di un carro. Certe sequenze come la Roma in fiamme, i cristiani nell’arena in pasto ai leoni, le crocifissioni, la predicazione di Pietro sul colle Vaticano, la lettera di Petronio a Nerone sono ancor oggi di grande impatto.

All’epoca alcuni critici riscontrarono nella pellicola un parallelo riconducibile al ventennio fascista, i saluti romani, fecero notare, erano numerosi, le guardie pretoriane vestite di nero, e la lupa, simbolo di Roma, sostituita dalle aquile reali di mussoliniana memoria. Le Roy smentì non capendo a cosa si riferissero, ottimo il suo operato per quanto riguarda il film, da buon mestierante lasciò spazio al talento degli attori, avvalendosi come aiuto registi di due giovincelli alle prime armi che di nome facevano Franco Zeffirelli e Sergio Leone, mentre nella seconda unità è evidente la mano di J. L. Mankievicz e Anthony Mann, con questi fuoriclasse si comandi il Kolossal è servito.

Le scene e i costumi vennero riutilizzati due anni dopo per il film di Mankievicz Giulio Cesare con Marlon Brando. La stagione del Peplum (la cinematorgrafia dei film storici) era iniziata, Quo vadis aveva dato il via, e nel 1959 con Ben Hur di Wyler si toccherà l’apice, il Kolossal,quello vero, altro che i vari Il gladiatore o Troy, giocattoloni,entra di diritto nella leggenda.

Buona visione e una serena Pasqua

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