Ancora una conferma per l’Inda nel 110° anniversario della prima rappresentazione
Grande cornice di pubblico per il debutto, al Teatro Greco di Siracusa,ancora una volta esaurito, di “Fedra (Ippolito portatore di corona)” di Euripide, diretto del regista Paul Curran, nella traduzione dal greco di Nicola Crocetti. Seconda opera messa in scena per il 59.no ciclo di rappresentazioni classiche, nel 110 anniversario dalla prima rappresentazione dell’era moderna, l’Agamennone di Eschilo allestito il 16 aprile del 1914.
Fedra, tragedia rappresentata per la quinta volta a Siracusa, dopo le edizioni del 1936, 1956, 1970 e 2010, è una donna vittima della folle passione d’amore per il figliastro Ippolito, nato dal marito Teseo in un precedente matrimonio. La dea dell’amore, Afrodite, apre la tragedia, dicendo che tiene in conto solo coloro che la venerano e che punirà Ippolito, che rivolge a Artemide, la dea della caccia, le sue invocazioni. Fedra (impersonata da Alessandra Salamida, apparsa un po’ titubante all’inizio, ma via via più decisa e sicura) tace il proprio amore e si consuma, rivelandolo alla fine soltanto alla nutrice, personaggio chiave della vicenda (interpretata da Gaia Aprea, molto convincente nel ruolo assegnatole), la quale parla invano a Ippolito, che sprezzante la respinge. Fedra allora si impicca, accusando Ippolito di averla violentata. lasciando uno scritto in cui accusa il figliastro di stupro. Il marito, Teseo, senza fare alcuna verifica e convinto della parole di Fedra, provoca quindi la morte di Ippolito, condannato all’esilio, riabilitato in punto di morte dalla stessa Artemide.
Gli altri interpreti principali sono Alessandro Albertin (Teseo), Riccardo Livermore (Ippolito), Ilaria Genatiempo (Afrodite), Giovanna Di Rauso (Artemide) e partecipano, alla rappresentazione, con grande maestria, gli allievi dell’Accademia d’Arte del Dramma Antico, sezione Giusto Monaco. I momenti di maggiore lirismo arrivano, a mio avviso, con l’entrata in scena di Teseo (personificazione determinata e coinvolgente quella di Albertin ), quando anche l’interpretazione dell’attore che impersona Ippolito acquista corposità.
La scena è dominata dalla grande testa bianca di una dea alta sei metri, che muta nel corso dello spettacolo (anche con ricorso a video proiezioni) , adagiata su un ponteggio di tubi e scale, che simboleggia il palazzo di Teseo.
Il regista Paul Curran, nato in Scozia, vive a New York, ha diretto produzioni nei principali teatri e teatri d’opera di tutto il mondo, ed è al suo quarantacinquesimo spettacolo in Italia. La cifra stilistica della sua messa in scena muove dal fascino derivante dal fatto che gli autori greci raccontavano le storie umane. La sua Fedra racconta un personaggio che non è capace di capire bene cosa le sia successo, viene evidenziata la mancanza di comunicazione, e il tormento sulla salute mentale, in un mondo di confusione. La sfida è quella di raccontare la sua storia facendo sì che il pubblico si ponga delle domande, non tanto sul potere degli dei, fuori dal controllo degli esseri umani, ma sulla la passione umana, assoluta, divorante di Fedra per il figliastro, Ippolito e sugli aspetti psicologico-mentali, sempre attuali. Malgrado l’ambientazione moderna, la scenografia scarna, i costumi contemporanei, un commento sonoro asciutto e pressoché inesistente, e la comparsa di un’improbabile pistola in mano a Teseo nella scena finale, la messa in scena ricalca i canoni della tragedia classica. I ritmi e la recitazione non hanno mai stancato gli spettatori, che alla fine hanno tributato calorosi applausi alla troupe ed anche alle maestranze, apparse sul palco, che dietro le quinte con duro lavoro consentono al pubblico del teatro greco di assistere sempre a spettacoli di altissimo livello.