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Che cos’è la sindrome di Pandas?

Che cos’è la sindrome di Pandas?

 Ne parliamo con la dottoressa Miriana Ranno psicologa clinica

Una malattia rara che attualmente in Italia interessa circa 1200 bambini, fonte Omar –osservatorio malattie rare-,  che può avere diverse cause e che è meglio diagnosticare in età pediatrica per poterla fronteggiare meglio durante la crescita. Stiamo parlando della sindrome di Pandas, un insieme di patologie riunite in questo nome che spesso prende alla sprovvista medici e familiari.

Ne parliamo con la dottoressa Miriana Ranno, psicoterapeuta cognitivo comportamentale in formazione ed esperta in psicodiagnostica clinica-forense e medico legale che introduce così il discorso: “Da professionista dell’area sanitaria, oggi mi trovo ad affrontare nuove sfide circa alla diagnosi e alla cura di sindromi poco conosciute, alle quali è necessario dar voce attraverso la divulgazione. Tra queste sindromi a cui noi professionisti dobbiamo porre interesse clinico vi è sicuramente la sindrome di Pandas.

La dottoressa Ranno ci illustra un caso da lei attualmente trattato: “Tempo addietro si presenta in studio Marco (nome di fantasia) insieme alla sua famiglia, la quale, notando nel minore alterazioni comportamentali di elevata gravità, chiede un colloquio per avere risposte. Il piccolo mostrava sintomi improvvisi tipici del disturbo ossessivo- compulsivo, tic, ansia da separazione. Eppure qualcosa non era chiara. Chiedo alla famiglia se il piccolo avesse avuto nel periodo precedente all’insorgenza dei sintomi, eventuali stati febbrili. La risposta fu netta e cioè infezione da streptococco di tipo A. Di cosa si trattava dunque? Sospetta sindrome di Pandas”.

Ma cos’è esattamente la sindrome di Pandas e come si riconosce?

Pandas è l’acronimo di “pediatric autoimmune neuropsychiatric disorders”  –ci ha detto la dottoressa-,  associato a infezione streptococcica. Descrive dunque un insieme di situazioni che possono colpire bambini con infezione da streptococco. Questi bambini possono sviluppare tic, sintomatologia ossessivo- compulsiva, altri sintomi comportamentali o neurologici. La maggior parte di chi riporta sintomi simili sono bambini di età compresa tra i 3 e i 12 anni. Si pensa che si possa incorrere nella sindrome di Pandas se vi sono frequenti infezioni da streptococco di gruppo A, come faringite streptococcica o scarlattina, oppure vi è una storia familiare positiva per malattie autoimmuni o febbre reumatica. La sindrome può avere effetti a lungo termine anche durante l’adolescenza e nell’età adulta”.

La sintomatologia è varia e dipende da bambino a bambino ed è proprio questo che può rendere non facile il suo riconoscimento. La dottoressa ci elenca i sintomi più comuni: “I sintomi e i segni della sindrome di Pandas –ci ha esposto Ranno-, possono variare da bambino a bambino, comprendendo condizioni psicologiche e neurologiche. I sintomi possono insorgere improvvisamente, possono durare alcuni giorni, sparire e tornare. I sintomi più comuni sono: ansia o depressione, cambiamenti di umore o personalità, in particolare rabbia improvvisa o irritabilità, difficoltà a dormire, disinteresse per il cibo, agitazione e sintomi simili al disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD), comportamento simile al disturbo ossessivo-compulsivo, ansia da separazione, tic”. L’esperta ci informa anche che non esiste un test specifico per la diagnosi di questa sindrome, ma si procede con la diagnosi di tipo clinico. Diverso è, invece, il discorso del trattamento: “Il trattamento per la sindrome di Pandas –ha continuato la specialista- prevede la terapia antibiotica. I bambini con infezione da streptococco attiva necessitano di terapia antibiotica e terapia cognitivo comportamentale (CBT). La terapia CBT è una forma di psicoterapia. Aiuta il bambino ad elaborare le difficolta emotive, la gestione dei sintomi ossessivi. Quando si lavora con bambini con Pandas, la CBT può essere una componente importante del regime di trattamento complessivo. Il trattamento dovrebbe coinvolgere i genitori (e altri membri della famiglia, a seconda dei casi), in modo tale che ai genitori siano offerti adeguati strumenti per poter affrontare tale percorso. Lo stress correlato ai caregiver può essere invalidante, per cui la presa in carico della famiglia diventa conditio sine qua non per una gestione condivisa del carico emotivo. Alcuni studi –ha evidenziato-  portano come risultato l’elevata difficoltà esperita dai genitori nel gestire la sintomatologia ma soprattutto, il peso che essa assume nella conduzione della routine. Tutto ciò si ripercuote sul loro sviluppo personale, sulla qualità di vita e sulle dinamiche familiari. Il genitore si trova ad affrontare la sofferenza del figlio, emotiva e fisica. Vivere questa sindrome –ha concluso la psicologa- significa vivere un’esperienza totalizzante, che influisce sul funzionamento della famiglia”. 

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