Fari puntati sul “Novembre Americano”
Cinema d’impegno civile sui diritti umani, diretto dal discontinuo ma capace di realizzare ottime pellicole, Alan Parker. Riscopriamo quindi Mississippi Burning, che punta il dito sull’America razzista del profondo sud e vede impegnati due detective inviati dall’FBI in Mississippi per indagare sulla misteriosa scomparsa di tre ragazzi afroamericani, impegnati a far iscrivere la popolazione di colore ai seggi elettorali per avere diritto di voto e partecipare attivamente alla vita politica. I due detective sono molto diversi tra loro: Alan Ward è un giovane inesperto, idealista e rispettoso delle regole, mentre il più anziano, Rupert Anderson, opera al limite della legalità con metodi propri. Si troveranno davanti un muro di omertà nella comunità bianca, dove anche la polizia è vicina al Ku Klux Klan. Siamo nel 1964, un’epoca molto calda per la questione razziale, un “cancro” che, passando per Martin Luther King e Malcolm X, nemmeno otto anni di Obama sono riusciti a estirpare. A scardinare il muro sarà una donna, moglie di uno dei poliziotti, che avrà il coraggio di denunciare marito e colleghi.
Dopo il notevole Angel Heart, Parker torna nel profondo Sud americano, terra sempre controversa, e dirige uno dei migliori film a tema razziale. A volte sembra però trattenersi, come se avesse paura di essere politicamente scorretto. Nonostante ciò, l’incalzare dell’azione e le prove attoriali di due giganti come Gene Hackman e Willem Dafoe ne fanno una pellicola sempreverde, ispirata all’assassinio di tre attivisti per i diritti civili, avvenuto nella notte tra il 21 e il 22 giugno 1964 nella contea di Neshoba. Parker riesce a farci percepire l’aria umida e opprimente di questi luoghi, dove si annusa l’odio, grazie al grande lavoro del direttore della fotografia Peter Biziou. Mississippi Burning è uno dei film simbolo di una piaga che, non solo negli Stati Uniti, ciclicamente si ripresenta. Buona visione.