I veri amici di Gesù
La Messa di oggi ci fa ascoltare un brano evangelico tratto dai cosiddetti “discorsi di addio”, che Gesù rivolge ai discepoli la sera del Giovedì Santo, riportati dall’evangelista Giovanni dal capitolo 13 al 17 del Quarto Vangelo. Il contesto di questa sorta di grande “testamento spirituale”, nell’intimità “familiare” dell’Ultima Cena, è quella drammatica notte oscura, nella quale Gesù verrà arrestato e i discepoli si disperderanno fuggendo confusi e impauriti. Gesù sa che i suoi più stretti amici non reggeranno l’urto della prova, e lo abbandoneranno, lasciandolo da solo proprio nel momento più vulnerabile della sua vita.
Il Maestro conosce il cuore dei suoi: nel capitolo 13 di Giovanni, che precede immediatamente quello del Vangelo di oggi, ha appena preannunciato il tradimento di Giuda e il rinnegamento di Pietro, che avverranno immancabilmente puntuali (“subito” per Giuda, e allo scoccare dell’orologio naturale scandito dal canto del gallo per Pietro). Ma il Signore ha anche offerto parole piene d’amore: deciso ad amarli “fino alla fine”, ha dato loro il suo “comandamento nuovo”, cioè quello dell’amore reciproco. E si è messo a servirli con un gesto concreto e altamente significativo: la lavanda dei piedi. Gesù conclude tutto il suo insegnamento chiedendo amore e servizio, come chiave riepilogativa dell’intera sua missione.
Il discorso contenuto nel capitolo 14, dal quale proviene il passo proclamato dalla liturgia odierna, può essere definito un piccolo “libro della consolazione”, come vengono tradizionalmente definite alcune sezioni dei libri di grandi profeti dell’Antico Testamento: Isaia e Geremia. Sì, le parole di Gesù intendono qui consolidare e fortificare, confortare e rassicurare quel piccolo gruppo di discepoli, così come Dio volle consolare per mezzo dei suoi profeti il popolo ebraico duramente provato dall’esilio babilonese.
Dopo aver esordito, all’inizio del capitolo, dicendo “non sia turbato il vostro cuore” (Gv 14,1), che riecheggia la reiterata rassicurazione “non temere” che così spesso risuonava negli oracoli profetici, un altro rimpatrio, quale vero “ritorno a casa”, viene annunciato qui ai discepoli spaesati: “quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi” (Gv 14,3). Si tratta di un luogo in cui i discepoli di tutti i tempi troveranno “dimora”, nella “casa del Padre” (Gv 14,2), della quale Gesù stesso è “la via” (Gv 14,6).
Per abitare questa dimora soprannaturale, Gesù promette il suo grande dono pasquale: lo Spirito, il Paràclito, avvocato difensore e consolatore. E primo effetto di questo invio è un altro dono da esso derivato: la pace, quella vera, “la mia pace” (Gv 14,27) – dice Gesù – e non quella falsa ed effimera del mondo. Verso la fine del capitolo, incornicia e suggella questo solenne discorso la sua medesima espressione iniziale, che ritorna amplificata e così confermata: “non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore” (Gv 14,27).
La breve pericope proclamata oggi nella liturgia costituisce di fatto la risposta che Gesù dà a una domanda immediatamente precedente, formulata dall’apostolo Giuda (non l’Iscariota, ma il suo omonimo componente dei Dodici, identificato anche col nome Taddeo, parente sia di Gesù stesso che dell’apostolo Giacomo di Alfeo, cosiddetto “il minore”): “Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?” (Gv 14,22).
È la domanda che molti credenti si pongono prima o poi, almeno una volta nella vita: perché la verità della fede cristiana non risulta così evidente a tutti gli esseri umani, tanto da venir spesso respinta, derisa e spesso soffocata con le persecuzioni? Perché lo splendore di questa verità non illumina naturalmente, o perlomeno in modo più incisivo, la mente dell’intera umanità, e richiede la faticosa trasmissione della nostra povera testimonianza?
La risposta di Gesù è molto semplice: solo un cuore che è disponibile ad amarlo può comprendere la sua Parola, perché senza questo amore non vi sarebbero dimostrazioni sufficienti per convincere sulla credibilità della sua verità. Solo “se uno mi ama” (Gv 14,23) – afferma Gesù – vedrà manifestarsi lo stesso amore divino del Padre e del Figlio nella sua vita.
- Immagine in evidenza: Wang Guangyi, The Last Supper (New Religion), 2011, Olio su tela, 1600 x 400 cm | Courtesy of the Artist and Fondazione Stelline, Milano