Chi sono e da dove vengono i capolavori recuperati dal mare

Tanto tuonò che anche la Tv di Stato ha acceso i riflettori sull’origine dei capolavori rinvenuti al largo di Riace secondo una prospettiva siracusanocentrica

“Lo speciale Tg1 che la Rai ha mandato in onda ieri sul mistero dei bronzi di Riace, demolisce false piste del passato e promuove, senza se e senza ma, l’ipotesi siciliana. Si accenderà un dibattito. Ben venga”.  Esordisce così il dott. Anselmo Madeddu dopo la puntata della trasmissione andata in onda ieri sera su Rai 1 che ha parlato del suo ultimo libro.

Archeometria e geochimica, ovvero l’archeologia applicata con l’ausilio di strumentazioni dedicate e la chimica della terra e dei suoi composti: punti di partenza, e di arrivo, per un lavoro investigativo dal sapore di thriller che ha avviato un suggestivo dibattito nella Siracusa dalle mille identità.

Stiamo parlando dei contenuti del libro di Anselmo MadedduIl mistero dei guerrieri di Riace – L’ipotesi “Siciliana” ovvero delle 386 pagine che cercano di identificare le reali origini delle due statue di bronzo di fattura greca, alte circa 2 metri, ritrovate il 16 agosto 1972 nei pressi di Riace Marina, nella costa della Magna Grecia che guada la “madre patria” e che oggi, famosissime nel mondo, si possono ammirare in bella mostra nel museo archeologico di Reggio Calabria.

Le tesi dell’autore – noto soprattutto per il suo servizio manageriale presso l’Azienda sanitaria siracusana, nonché come presidente dell’Ordine dei medici della provincia di Siracusa – circolavano da tempo ma sono state suggellate nel corso di una affollata quanto attenta presentazione della sua opera nel salone “Mons. Ettore Baranzini” del Santuario della Madonna delle lacrime di Siracusa.

Sulla scorta di quanto sempre sostenuto dall’archeologo americano Ross Holloway, ma soprattutto, degli esiti delle evidenze scientifiche degli studi dei professori Lino Cirrincione , Sebastiano Monaco, Rosalda Punturo e Carmela Vaccaro dell’Università degli studi di Catania, Madeddu ha esposto le sue tesi <<con una logica investigativa tipica di chi fa ricerca scientifica nel campo biomedico ed epidemiologico, basata sui tre criteri “indispensabili”, “necessari” e “utili”>> .

 “Tutto potrebbe partire da qui –introduce Madeddu– cioè da quanto ritrovato a 90 m di profondità nel porto di Brucoli, oppure da qui, cioè da ciò che si è ritrovato nel 1972 a 6 metri di profondità nel mare di Riace”.

Iniziamo anzitutto da chi fossero i due “bronzi”. Secondo lo studio interdisciplinare condotto dal dottore Madeddu si parlerebbe degli Ecisti, cioè i fondatori della città di Siracusa e in particolare di Gelone, Archia e Ierone. Tesi questa, però subito messa in dubbio dall’archeologo Fabio Caruso in quanto per quest’ultimo ci sarebbe una sfasatura temporale fra l’esistenza dei soggetti come identificati dalla ipotesi di Madeddu e la realizzazione dei bronzi, inoltre gli stessi non si sarebbero mai mostrati in posa adamitica bensì in lussuose vesti simbolo del potere loro spettante.

A prescindere dalla loro identità, perché dunque i bronzi si trovano a Riace?

Questo è un interrogativo che accomuna sia l’autore del libro, sia i suoi critici, in quanto è insolito trovare reperti marini senza alcun segno evidente del naufragio che li avrebbe inabissati. Come ha dichiarato lo stesso Madeddu durante la presentazione del libro “Nel 212 a.C. le statue, insieme ad altre opere d’arte (si parla di 7 statue in tutto tra cui 3 bronzi e 2 leoni mai ritrovati), furono caricate su una nave con destinazione Roma ma non vi arrivarono mai perché un naufragio fece affondare la nave nei pressi di Brucoli, luogo sulla rotta delle navi romane dell’epoca, e da lì, queste furono recuperate e trasportate nei fondali di Riace in attesa di altra destinazione”. A questo punto scatta il giallo nel giallo, con il sospetto, condiviso unanimemente, che il “tesoro” fosse stato “spostato” dalla Sicilia alla Calabria per finalità non proprio legittime.

Ma quali le prove che hanno portato un medico qual è Madeddu, a vestire i panni di un archeologo?

Lo studioso elenca almeno 30 ipotesi, debitamente confutate, per cui, senza nulla togliere a Riace, si potrebbe attribuire alla Sicilia e nella fattispecie alla città di Siracusa, la paternità dei bronzi più famosi del mondo.

Tra queste:

  • I bronzi sono stati costruiti nello stesso periodo storico cioè il V sec. a.C. come indica la tecnica della “Cera persa”, per cui dapprima si faceva un modello di terracotta, cosparso successivamente di cera per modellare meglio la statua, la quale veniva poi inglobata in un guscio di terracotta munito di canali di drenaggio. Una volta sciolta la cera, al suo posto si colava il bronzo liquido che, indurendosi, si liberava del guscio.
  • I bronzi appartengono allo stesso monumento. L’analisi dei tenoni, cioè le giunture che li sostengono sulle basi da cui si ergono, ci indica che le statue furono collocate nello stesso monumento e nello stesso momento.
  • È sorprendente la somiglianza del bronzo B con quanto raffigurato nella moneta siracusana del IV sec. a.C. per cui la testa del bronzo B è priva di capelli perché fu concepita per indossare l’elmo, in particolare, una cuffia di cuoio con paranuca a ricciolo, che era il segno distintivo del comando supremo, la korinthie kynê, nota perché raffigurata in molte monete siracusane e corinzie. Il soggetto ritratto doveva essere dunque un re condottiero vissuto tra il 480 e il 470 a.C. in area dorico-corinzia e il principale indiziato è proprio

Anche su questi aspetti non sono mancate autorevoli repliche a quanto sostenuto dal dott Madeddu che commenta così: “Recentemente qualche esperto, evidentemente non geologo, ha sollevato l’obiezione secondo cui le caratteristiche geochimiche delle terre sarebbero identiche in tutto il bacino del Mediterraneo…. Mi chiedo a cosa servano allora le carte geologiche, tutte peraltro differenti e variegate tra loro e su quale presupposto logico si fonderebbe allora l’assunto che i bronzi di Riace sarebbero stati realizzati ad Argo e non altrove, per via delle caratteristiche delle loro terre?”.

Anselmo Madeddu

Una prova scientifica a sostegno di quanto prodotto dallo studio del dott. Madeddu, arriverebbe proprio dalle risultanze delle indagini geologiche e di laboratorio (geochimiche) effettuate sui campioni di sedimenti prelevati da un carotaggio in area Pantanelli, area dell’Olympeion (tempio di Zeus Olimpio, il più antico tempio greco sulla terraferma, oggi noto come tempio delle “due colonne”, ndr). Infatti, questi campioni (coincidenza temporale degli insediamenti a parte, ndr) sarebbero compatibili con le terre di saldatura dei bronzi.

I bronzi dunque – secondo Madeddu che però non trova d’accordo l’archeologo Caruso – sarebbero stati realizzati con singoli pezzi separati e poi saldati tra loro e proprio dalle terre utilizzate per l’assemblaggio dei possenti bronzi si proverebbe l’origine siracusana.

Ma vediamo meglio alcuni dettagli con il prof Lino Cirrincione, direttore del dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali della Università di Catania che è intervenuto a sostegno delle tesi di Madeddu.

“Lo studio geochimico sulle terre di saldatura dei bronzi, ha lo scopo di confrontare quanto pubblicato già negli anni ’90 e quanto si è acquisito attraverso le analisi dei sedimenti prelevati da una campagna di perforazioni sulla piana del fiume Anapo e in particolare nell’area dei Pantanelli”.  In altre parole, grazie alle risultanze di una campagna di perforazioni geologiche si è fatto un confronto tra quanto presente, a livello di elementi geochimici in traccia -quelli che cioè caratterizzano ogni roccia sia come inquadramento geologico regionale, sia come patterns mineralogici-, nelle terre di saldatura dei bronzi e quanto si è evinto, in particolare, da un sondaggio geologico realizzato. “Abbiamo chiamato CIANE 5 il livello stratigrafico a cui corrispondono 19 su 20 elementi chimici individuati nell’esame geochimico effettuato sulle terre della saldatura del braccio/spalla destra della statua A e che mettono in evidenza la provenienza vulcanica delle rocce originarie, in particolare, vulcaniti basiche che nei depositi fluviali dei Pantanelli possono derivare tanto dalle vulcaniti iblee, quanto da quelle etnee”.

Non sta a noi stabilire dove finisce la leggenda e inizia la storia, ma di sicuro quando a supporto di quest’ultima ci sta la scienza, tutto assume un altro sapore.

Sempre pronti, comunque, a scriverne e a riproporne i contenuti con gli eventuali aggiornamenti del caso che ormai ha sempre più i connotati di un giallo archeologico.

 

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