Titilo della settimana: Amici miei di Mario Monicelli, 1975.

“Torneranno le zingarate?”.

“Tra la realtà e la leggenda, scrivete la leggenda ” cosi parafrasava un giornalista nel capolavoro western L’uomo che uccise Liberty Valance , 1962 di John Ford, di cui Pietro Germi era grande estimatore, e allo stesso modo di come Ford chiuse la stagione del western classico, anche Germi chiude l’irripetibile era della commedia italiana con questa frase : “Amici miei, me ne vado, ci rivedremo “. Queste poche ma commosse parole secondo quanto affermato da Gastone Moschin, grande amico e uno degli attori prediletti di Germi, stava a significare l’addio al cinema, agli amici e alla vita del grande regista. Subito dopo il titolo a caratteri cubitali sullo schermo appare “un film di Pietro Germi “, consapevole che la malattia non gli avrebbe permesso di realizzarlo, lo affida al buon Marione Monicelli. Il padre della commedia italiana morì il giorno del primo Ciak, ma affidando il tutto a Monicelli poteva lasciare sereno questo mondo. Con la sceneggiatura di Benvenuti, De Bernardi e Maccari e la musica di Carlo Rustichelli venne fuori un Film-monumento, un inno alla vita denso di comicità e di una drammatica malinconia  per un’era passata e gloriosa con tutti i suoi interpreti in stato di grazia, sfruttati alla perfezione da un Monicelli che non fa rimpiangere il maestro, spostando soltanto l’ambientazione da Bologna a Firenze.

Quasi un film testamento in un periodo storico turbolento come il 1975, anni caldi  cosiddetti di piombo, quindi una società insoddisfatta e impaurita, che usciva poco di casa, guarda caso, un po’ come oggi. Unica via del cinema era trasformare tutta questa negatività e veicolarla in scherzi e goliardate gigantesche, quasi a voler esorcizzare il momento davvero drammatico di un paese che finito il boom economico, viveva la fase più difficile dal dopoguerra.  Germi e poi Monicelli affidando il compito a quattro amici vitelloni 50enni che poi come vedremo diventano cinque, che coltivano l’antico gusto toscano per le zingarate e le burle . Cresciuti assieme dalla scuola al servizio militare fino all’età adulta, in un film dove i figli sono più vecchi dei padri e questi inseparabili amici cercano in tutti i modi di fermare il tempo che passa e i disagi familiari, il nobile decaduto Conte Raffaello Mascetti-Ugo Tognazzi, l’architetto Rambaldo Melandri -Gastone Moschin, il redattore capo Giorgio Perozzi-Philippe Noiret, Guido Necchi-Duilio Del Prete e dulcis in fundo il professor Davide Sassaroli-Adolfo Celi.

Questi personaggi traggono spunto da persone realmente esistite. Personaggi quasi fastidiosi per la totale immoralità e la misoginia, ma possiamo dirlo precursori dell’Italia involgarita di oggi ma senza l’ironia del passato. Le loro zingarate possono durare un’ora, un giorno, venti giorni come dice Giorgio Perozzi, anzi scusate il Perozzi, che è anche la voce narrante della pellicola. Ci sono anche il bar, il biliardo, le automobili e anche l’esclusione delle figure femminili, argomento troppo serio per loro. Molte gag del film fanno parte della nostra cultura, ancora oggi quando sentiamo qualcuno in politica, e ce ne sono tanti, fare giri di parole, ci viene subito in mente la Supercazzola, in stazione ci può venir voglia di schiaffeggiare i passeggeri affacciati al finestrino. Ma una comicità sempre amara in perfetta sintonia con le disillusioni degli anni 70, e ne è la prova che proprio al cimitero nasca una delle zingarate più celebri. Uscì in Italia il 15 agosto 1975 e risultò il film più visto della stagione . Ebbe due seguiti, uno girato dallo stesso Monicelli mentre l’altro da Nanny  Loi. Dal secondo Renzo Montagnani prese il posto di Duilio Del Prete nel ruolo del Necchi. Da segnalare per dovere di cronaca un decadente remake del 2011 con Boldi e De Sica. Se ancora oggi vi chiedete dov’è finita la commedia italiana rivedete Amici miei e avrete la risposta.

Buona visione.

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