I giochi dei bambini non sono giochi,

e bisogna considerarli come le loro azioni più serie.

(Michel de Montaigne)

Sempre più di frequente accade di vedere come i bambini di oggi siano immersi in un flusso frenetico di impegni e attività che cadenzano le loro giornate; frettolosamente “trascinati” da un luogo all’altro da madri e padri altrettanto stressati dalle tante incombenze quotidiane, spesso li si vede stanchi e svogliati, o al contrario iper eccitati, entrambi segnali di un sovraccarico fisico e/o emotivo. C’è il tempo per la scuola, per i compiti a casa, per il karate, il corso di inglese e quello di pianoforte; e c’è quello da dedicare al gioco, alle volte anch’esso limitato da regole imposte che poco o nessuno spazio lasciano alla fantasia.

Trovo che è importante chiedersi se una tale impostazione di vita risponda davvero ai bisogni dei nostri bambini o se invece rappresenti più un’esigenza dei genitori, esponenti di questa nostra cultura e società votata alla competizione e al raggiungimento del primato, che per i propri figli – e dai propri figli –  vogliono il massimo.

Così, se da una parte viene offerta ai nostri piccoli una gamma sempre più ampia di stimoli e opportunità di conoscenza, non si può non considerare come dall’altra si neghi loro l’esperienza di quella che potremmo definire “noia sana” o vuoto creativo. Il momento cioè in cui il bambino, libero dalla prestabilita tabella di marcia, può “contattarsi”, interrogarsi su di sé, sul suo sentire, sui suoi bisogni e sviluppare la propria fantasia, oltre che la fiducia in sé e il senso della propria auto-efficacia. Una sorta di pausa esistenziale, utile anche in età adulta, che oltretutto esercita una funzione benefica sull’ansia da prestazione. Ansie, queste, che potrebbero costituire fattori di rischio per lo sviluppo successivo – specie nel periodo adolescenziale – di altri disturbi, come le condotte autolesive o le dipendenze patologiche in cui le sostanze di cui si abusa si configurano come riempitivi di un vuoto intollerabile, o, per dirla in altro modo, come una delle possibili risposte al non “sentirsi”, al non sapere cosa farsene di sé.

E allora, che ben venga concedere ai nostri bambini più tempo al loro tempo, abituarli a crearlo a modo proprio, attraverso le storie fantastiche che sanno immaginare e i mondi incantati che sanno sognare. A noi adulti il delicato compito di osservarli amorevolmente nel loro divenire, sogno dopo sogno, donne e uomini liberi e consapevoli di quanto serio e importante sia il gioco, specie quello senza le istruzioni d’uso.

 

Lisa Molfese, Psicologa, Psicoterapeuta

Coordinatrice del Master di Psicologia Forense

Istituto di Gestalt HCC Italy (Siracusa)

 

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