In questi giorni non mancano le notizie da raccontare e su cui elaborare interessanti articoli o pezzi di cronaca. Non è una questione di scrittura professionale o di notizia quanto la consapevolezza nel trattare la persona che improvvisamente si trova a discutere con la propria finitudine. Così il mestiere del giornalista abituato ad osservare, a fare sintesi, a scovare, diventa ancora più delicato in questo tempo drammatico, di cui conosciamo l’inizio ma non la fine, perché tocca con mano la sua capacità di introspezione e di farsi prossimo nel mediare un evento planetario. Questione delicata oltre che variegata e per molti versi complessa perché s’intrecciano questione etica, sociale e politica. Ogni regione d’Italia ha un puzzle a disposizione da incastonare nel quadro del Covid-19, ma non sappiamo qual è la figura da comporre.
Per superare gli esami di stato di giornalista tra i contenuti da tenere a mente ce n’è uno in particolare: fare il giornalista non è semplice, bisogna usare un linguaggio corretto, essere obiettivi e saper raccontare qualcosa di interesse pubblico nel miglior modo possibile.
Al momento, ci rendiamo conto che questo è insufficiente quando si affrontano argomenti importanti come la pandemia di Covid-19 o Sars-CoV-2.
Ci chiediamo: si tratta di una sperimentazione sfuggita di mano? Un modo per affrontare la propria egemonia? Per dire noi siamo pari a Dio perché abbiamo in mano il destino dell’uomo? Tutte domande a cui il difficile compito del giornalista vuol trovare una risposta “corretta” ed “obiettiva”. Cosa e come scrivere davanti a decine e decine di feretri, a famiglie spezzate, a vite spente, al deserto delle città. Il giornalista è chiamato a dare una risposta e non da cruciverba.
La sua penna si muove sul filo del rasoio: tra tenerezza e invasività. Il suo delicato compito in questo momento tragico è allora quello di mantenere in equilibrio ascolto, verità e saggezza oltre che guardare alla realtà con tenerezza e rispetto, come dice Papa Francesco.
Un ruolo paragonabile, secondo me, al tocco femminile della vedova di Naim, narrata nel Vangelo di Luca. Tutti conosciamo la scena. Gesù nella città di Naim s’imbatte nel dolore di quella gente e decide di intervenire a causa della prostrazione di quella donna, vedova, che aveva perduto il figlio, l’unico membro che le restava della sua famiglia.
Il compito del giornalista si muove così, come quello di Gesù tra commozione e compassione, ossia etica e tenerezza, e come la vedova di Naim che non teme di manifestare la verità dei fatti. Perché quello del giornalista non è un lavoro, ma un mestiere, uno stile di vita. Diventa «l’io», credibile ed affidabile, in cui l’opinione pubblica si identifica perché ne riconosce l’esperienza, perché s’infila nelle sale intensive della realtà e la racconta.
Per questo è un compito difficile e rischioso nella situazione di Pandemia che stiamo vivendo perché il giornalista non si ferma, cammina per la strada e guarda la realtà, attende con pazienza, e non smette perché dalla strada germogliano le sue intuizioni. È chiamato in questo momento di Codiv-19 a non ricercare lo scoop o la notizia, ma a raccontarla con battute di saggezza e di speranza. Non c’è spazio al cinismo, alla curiosità giornalistica che, a volte, suscita indignazione. Oggi c’è un patto tra il giornalista e l’umanità ferita, un patto di dignità, ossia un’alleanza bilaterale tra la sfera della sua scrittura, piena di significati, e la ricaduta delle parole scritte, cioè parole parlanti, nel rispetto della dignità umana di chi legge.
Si instaura così tra il giornalista e l’opinione pubblica un’alleanza che mette al riparo dalla sfiducia e dall’indifferenza. Dove non trova posto la svalutazione sociale o l’epidemia dello scetticismo e della sfiducia nei confronti del giornalista. Patto di dignità che si diffonde, con il passa parola, nella cultura ed affina la sensibilità del lettore, perché si tratta di un patto di dignità stabile e generativa.
Il giornalista, come i medici, i volontari, i farmacisti, l’esercito, per fare al meglio il suo mestiere rischia anche la vita, come già succede, proprio per non lasciare l’opinione pubblica senza notizie “corrette” ed “obiettive” perché vive il suo mestiere con corresponsabilità e lo considera una missione: custodi di un Patto di Dignità.
(*) Suor Maria Trigila delle Figlie di Maria Ausiliatrice è giornalista professionista e docente.
Credito fotografico immagine in evidenza: Aforisticamente.