Il lockdown in Sicilia ha riguardato il 44,2% delle unità locali, il 37,1% degli addetti e il 32,8% del fatturato sul totale delle attività economiche rilevate. La previsione del Pil per il 2020 è di un -7,8%, la contrazione della domanda di turismo può arrivare al 35%. La perdita in termini occupazionali è del 4,8%. Questi i numeri del Documento di economia e finanza 2012/2023 di Palazzo d’Orleans. Questo il conto salato, fino a oggi, della pandemia – quello ufficiale, a cui dobbiamo aggiungere il sommerso “scomparso” che sfugge a qualunque statistica – in una Regione che ha subito chiuso lo Stretto fra molte contraddizioni e scivoloni comunicativi contenendo probabilmente quello che la sanità siciliana non sarebbe riuscita minimamente a contenere, ma che non è riuscita a salvarsi dal virus della depressione economica e sociale. La seconda ondata. Quella da cui nessuno si salva da solo. Numeri pesanti, che non rendono pienamente la drammaticità di quello che rappresentano. Perché dietro queste cifre ci sono sofferenze di persone. Di famiglie. Sono indicatori di desideri spezzati e quotidianità sconquassate. L’assessore regionale all’Economia, Gaetano Armao ammette che «la crisi economica post-pandemica ha colpito la Sicilia quando ancora non erano stati superati gli effetti della crisi economica del 2010-2012: si è determinato un aggravamento della già persistente precarietà sociale con effetti inibitori sul desiderio di avvenire».

L’avvenire. Il futuro. Quale futuro, quale mondo, quale Sicilia dopo il Covid? La Sicilia delle promesse non mantenute, del 40% di disoccupazione giovanile, delle continue migrazioni verso il Nord; la Sicilia sempre più a rischio desertificazione industriale, senza progetti chiari e concreti di sviluppo; la Sicilia perla del turismo senza viaggiatori – «quelli di Lombardia e Veneto che è meglio che restino a casa» (figuriamoci gli stranieri) – si ritrova nuda davanti allo specchio. Isola isolata. A specchiarsi di una bellezza che non sembra servirle a molto se non scatta subito una rivoluzione di pensiero. Ecco allora che la crisi, l’ultima crisi diventa l’ultima chance del cambiamento. L’ultima occasione per smetterla di prenderci in giro e guardare invece in faccia la realtà per affrontarla, non per nasconderla, non per vendere illusioni, non per allungare l’agonia. È il tempo di scegliere cosa fare da grandi. Di determinare l’avvenire. Non di aspettarlo.

Se nel tempo abbiamo dovuto affrontare stagioni difficili e di crisi appunto, dal Dopoguerra a quella finanziaria scoppiata nel 2008, mai come adesso la crisi è assoluta. È penetrata nelle vite di tutti. E per questo impone un cambio di passo di tutti e in tutto: il nostro stile di vita, i nostri rapporti con gli altri, il nostro modo di vedere e di girare il mondo. Il mondo piccolo e globalizzato raggiungibile in lungo e in largo in poche ore di aereo che improvvisamente è diventato enorme. Un pianeta di luoghi a sé. Le nostre città, i nostri comuni tornati a essere piccoli stati. Ciascuno padrone a casa sua, nel piccolo mondo contemporaneo. Ciascuno a contare e a leccarsi le proprie ferite.

Le ferite della Sicilia sono infinite, ma non tutto è perduto. Ripartiamo da noi. Con una idea: agevolare il ritorno dei talenti. Chi ha pensato di lavorare agilmente (con lo smart working) dalla terra di origine anziché nelle grandi città deserte, rappresenta il fallimento del modello molto milanese fondato sui ritmi dis-umani di una dittatura del lavoro e la scoperta di una alternativa, di una flessibilità ragionata, di una “delocalizzazione” intelligente e possibile non di produzioni ma di pensiero altrove. Non in Cina o in Serbia, ma al Sud. Lavoratori di aziende del Nord che per una volta sono venuti a produrre al Sud. E che al Sud, anche in tempo di crisi e di pandemia, hanno portato e portano economia. Perché non avviare allora un vero piano per il “rientro” dei cervelli nel Mezzogiorno? Non tanto e non solo con finanziamenti ad hoc, ma anche semplicemente con una finestra normativa da Milleproroghe e una autorevole “moral suasion” rivolta alle aziende delle aree più produttive, di settori e prestazioni che è possibile svolgere in modalità smart, per agevolare il rientro a “casa”. Così la Sicilia potrebbe diventare un naturale grande hub di talenti, dove vivere l’economia del ben-essere, a prova di Pil. E di Covid. Riapriamo lo Stretto ai siciliani. Ripartiamo da noi.

[Versione integrale pubblicata sul numero tipografico di venerdì 11 luglio 2020]

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