L’informazione ai tempi del coronavirus: faccia a faccia con il cronista sotto scorta minacciato dalla mafia Paolo Borrometi, vicedirettore dell’AGI e redattore di TV2000

Paolo Borrometi

Tempo, per riconoscere l’attendibilità e l’autorevolezza delle fonti, e conoscenza critica. Assieme a questo occorre sviluppare una vera e propria educazione ad un uso consapevole e corretto delle enormi potenzialità che ci offre il mondo dei social.

E’ il possibile percorso lungo il quale incamminarsi, nel più breve tempo possibile, per contenere al massimo il pericolo della disinformazione e contrastare le fake news suggerito da Paolo Borrometi, il cronista siciliano sotto scorta ormai da sei anni per le minacce di morte ricevute dalle cosche mafiose, da ottobre dello scorso anno vicedirettore dell’AGI, l’Agenzia Giornalistica Italia, e redattore di TV 2000 oltre che direttore di LaSpia.it e presidente dell’Associazione Articolo 21.

Il suo è un invito a non cedere a pericolose e immotivate sottovalutazione del fenomeno ma anche un’esortazione al mondo del giornalismo a muoversi sempre con grande senso di responsabilità, attenzione, scrupolo e precisione per far sì che il giornalismo moderno  possa vincere   la vera scommessa che è quella di accompagnare il lettore a saper distinguere i dati veri.

  • Le fake news solo a una prima e superficiale lettura possono apparire un modo, più o meno goliardico, di alterare fatti e realtà. Non di rado dietro notizie che mischiano vero, verosimile e falso ci sono vere e proprie centrali della disinformazione con progetti e strategie operative molto precise. Siamo disarmati o, prudenza e buon senso a parte, possiamo avere utili strumenti da impiegare?

“Il tempo impiegato nella ricognizione raramente è tempo sprecato”, così si legge nell’Arte della guerra, uno dei più antichi trattati di strategia militare. Partirei proprio da qui – da un trattato militare – per rispondere. Non solo perché di fatto quella che siamo chiamati a combattere contro le fake news si è trasformata ormai in una vera e propria battaglia, ma perché sono convinto che per non farci trovare disarmati sul campo occorrano anzitutto tempo e conoscenza critica. La disinformazione è velocissima. Districarsi tra le sue mille facce non è semplice, anche per i più attenti: saper prendere tempo per riconoscere l’attendibilità e l’autorevolezza delle fonti e frenare l’impulso alla condivisione immediata di ogni notizia che riceviamo, finendo spesso per alimentare la cattiva informazione, sono strumenti fondamentali. Essere educati ad un uso consapevole delle enormi potenzialità che offrono i social è la nostra arma migliore, perché spesso nelle maglie della rete si impigliano strategie pericolose e granelli di sabbia che alcuni vorrebbero venderci per perle: come ben sottolineava Antonio Megalizzi, il giovane giornalista morto nel dicembre di due anni fa nell’attentato di Strasburgo, grandissimo conoscitore delle potenzialità e delle insidie della rete, agli utenti andrebbe sempre dato modo di verificare le fonti e la veridicità delle notizie (per questo aveva offerto tra l’altro la sua collaborazione al sito Bufale.net), perché non bastano i plug-in di Facebook per aiutarci a smagliare le reti.  Assumere un atteggiamento critico e scettico nei confronti di ogni notizia sarebbe l’atteggiamento più corretto da seguire, anche se indubbiamente ha un costo in termini di tempo, bisogna fare delle ricerche e delle verifiche e a volte troviamo più semplice crederci e basta. Peraltro agli utenti sono offerte anche altre armi: oltre alle misure che rientrano nel cosiddetto fact checking, pur in assenza di una legislazione unica, in quasi tutti i Paesi si sono ad esempio moltiplicati gli sforzi per mettere a punto degli strumenti condivisi per fermare la disinformazione all’origine, frenando (rendendole meno visibili) o impedendo (cancellandole del tutto) che le notizie palesemente fasulle possano circolare. Penso oltre a Facebook a quanto hanno adottato proprio in queste ultime settimane Google, Twitter, o Istagram, anche con iniziative che stanno facendo parecchio discutere.

  • Non pensa che ci possa essere il rischio di etichettare come fake news qualsiasi “verità” che sia differente da quella che coltiviamo e che vorremmo affermare? Immersi come siamo ormai nella quotidiana “caccia” alla bufala non c’è il timore di smarrire la via del confronto, anche aspro e serrato, di cercare una normalizzazione ad ogni costo che non giova certo alla ricerca della verità?

Un conto è la contro-informazione, un conto le notizie non verificate o costruite ad arte.   Spesso queste si mischiano a voci e a notizie che ci informano su ciò che magari non trova spazio altrove, questo è vero. Ma infatti qui non si tratta di censurare, o di conformarsi a una verità ufficiale, al contrario di far sì che proprio nel rispetto di una informazione corretta possa essere tutelato e diffuso il rispetto delle differenze e delle opinioni di tutti.

  • Come anche l’emergenza coronavirus sta dimostrando, il terreno di coltura preferito per le fake news resta il web e quello dei social in maniera più marcata ma anche i settori dell’informazione più tradizionale non ne sono completamente esclusi. I giornalisti in questa “partita” che ruolo giocano (o non giocano)?

E’ soprattutto in momenti di incertezza come quello che stiamo vivendo che proprio la velocità di comunicazione su cui si fondano i social e le chat offrono un terreno fertile alle fake news. Del resto è la natura stessa di queste piattaforme a deviare la nostra attenzione da fattori importanti quali la veridicità e l’accuratezza delle informazioni che riceviamo: il flusso di false notizie diventa in un certo senso incontrollabile al pari del nostro bisogno di sapere. Se è un fatto che spesso è nei social che le fake proliferano, ciò non significa purtroppo che i mezzi di informazione tradizionali ne siano immuni. Così come i giornalisti accusano i social di inquinare l’informazione con bufale o discorsi violenti, a loro volta sono accusati di ipocrisia, di voler mettere il bavaglio a chi parla con libertà e di produrre un’informazione capace solo di tutelare gli interessi di pochi. La loro professionalità dovrebbe costituire la garanzia di una corretta informazione, offrire quell’argine agli inganni del web che spesso è lasciato solo ai divulgatori scientifici o agli esperti, eppure capita che alcuni facciano da cassa di risonanza a parole e a toni sopra le righe e che questa finisca per perdersi, o quanto meno è così che viene percepito da non pochi italiani convinti che i mezzi di informazione tradizionali  facciano troppo poco per veicolare un’informazione corretta e professionale.

aldomantineo@gmail.com

  • Quanto pesa, in questo scenario, la naturale inclinazione che abbiamo di attribuire a qualcos’altro o a qualcun altro – comunque diverso da noi – colpe e responsabilità di un dato accadimento? Alimentare una catena di notizie false in alcuni casi fa anche emergere precisi profili di responsabilità penale ma, in ogni caso, pone tutta una serie di altre questioni per nulla marginali. Etica e deontologia di chi fa comunicazione possono da sole bastare?

Dovrebbero. Ogni notizia, inevitabilmente, è di per sé data a partire da un punto di vista, ovviamente. E la libertà di pensiero va sempre difesa contro ogni editto o censura. Ma a maggior ragione in un’era di post-verità e di nuovi strumenti di comunicazione diventa indispensabile muoversi con grande senso di responsabilità, attenzione, scrupolo e precisione. E’ una questione di giudizio, e quindi di giustizia e di etica, e di rispetto dei limiti che impone la deontologia. Laddove fosse appurato che questi limiti siano stati superati e siano stati messi in gioco i valori della nostra Costituzione –  pur esulando dalle specifiche responsabilità penali – andrebbero ovviamente applicati quei procedimenti previsti dalla nostra categoria, a difesa non solo della credibilità di coloro che scrivono ma dei diritti di ogni cittadino perché anzitutto un giornalista è al suo servizio.

  • Questa pandemia sta costringendo un po’ tutti a rivedere il proprio rapporto con il sistema dell’informazione. Cosa vede all’orizzonte?

Che ci sia un problema con l’informazione non è da oggi, in un certo senso ben venga quindi il fatto che alcuni eventi lo mettano in evidenza, dando a tutti noi l’occasione per porci delle domande. La vera scommessa del giornalismo moderno è quella di accompagnare il lettore a distinguere i dati veri. I media tradizionali non devono smarrire il contatto con quel mondo di cui dovrebbero parlare, e imparare a conciliare quella velocità di diffusione che impongono i social con i criteri deontologici. Perché tornando all’Arte della guerra, meglio tutti perdere un minuto in più, noi per primi.

– Aldo Mantineo, giornalista e scrittore.

Il suo ultimo libro è DireFareComunic@are – Gestire un Ufficio stampa ai tempi dei social, edito da Media&Boocs

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

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