Così scrive Edgar Lee Master sulla sovracopertina della prima edizione di “Chicago Poems” (1916), tardo ma deflagrante debutto poetico di Carl Sandburg (1878-1967), scrittore, poeta e giornalista statunitense di origini svedesi: “La sua musica possiede talvolta la limpidissima dolcezza dei ceselli tintinnanti, talaltra ha la giusta asprezza del metallo che fa resistenza”.
Bene descrivono le suddette parole a descrivere la poetica di Sandburg, capace di accogliere più registri lirici, quasi a voler raggiungere ogni “corda” del lettore.
Anche il suo intenso lavoro di attivista per il partito socialista e l’impegno per la causa della classe operaia, si riflettono chiaramente soprattutto nella sua prima produzione poetica.
Il salto di qualità avverrà quando Harriet Monroe, direttrice di “Poetry”, si innamora dei componimenti di Sanburg e della politonalità dei suoi versi e ne pubblica un’ampia selezione sulla sua rivista che darà lo slancio al già citato “Chicago Poems” che farà diventare Sandburg il capofila del cosiddetto “Rinascimento di Chicago”, un momento di prolifica produzione letteraria della città che vede emergere autori del calibro di Sherwood Anderson, Edgar Lee Masters e Vachel Lindsay.
Il tempo renderà meno “rivoluzionaria” la sua poesia, anche perché Sandburg si dedicherà ad altro, ma non intaccherà il suo ormai acclarato successo, testimoniato anche dall’assegnazione di due premi Pulitzer, dei quali uno proprio per la sua opera poetica.
Per la nostra rubrica, ho scelto “Preghiere dell’acciaio”, che ben sintetizza, a mio parere, la sua capacità lirica di essere rude e dolce allo stesso tempo.
Preghiere dell’acciaio
Mettimi su un’incudine, o Dio
Battimi e martellami, fa’ di me un piede di porco.
Lascia che mi insinui fra vecchie pareti traballanti.
Lascia che sollevi e smuova le vecchie fondamenta.
Mettimi su un’incudine, o Dio.
Battimi e martellami, fa’ di me uno spuntone d’acciaio.
Ficcami nella trave che tiene in piedi un grattacielo.
Con rivetti incandescenti fissami alle travi portanti.
Lascia che io sia il grande chiodo che sostiene il grattacielo
nelle notti tristi fra le bianche stelle.
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