Ciascuno di noi ha condiviso le proprie riflessioni con le persone care, pianificando il futuro.

Ora che è ancora racchiusa fra i palmi delle nostre mani, pensiamo bene a quale forma dare alla speranza.
Proviamo a gettare l’occhio nel silenzio là fuori.
Il coronavirus ci offre una nuova prospettiva “interdisciplinare” che coinvolge tutti gli insegnamenti che avevamo teorizzato e cercato di trasmettere in forme soltanto paternalistiche ai nostri figli fino a qualche settimana fa. Il grosso tomo intitolato “Coronavirus 2020” è una summa che raccoglie elementi di ecologia, etica, economia, educazione, scienze, storia, geografia, arte e altro ancora.
L’invisibile mostro ha messo sottosopra le nostre vite, le ha segnate tragicamente, ma incredibilmente è riuscito in una impresa straordinaria, rompendo i muri invalicabili del nichilismo: ci ha restituito la speranza, o perlomeno il desiderio di essa.

Oggi più che mai ci rendiamo conto di aver bisogno della speranza e di credere nel futuro. Fra i palmi racchiusi delle nostre mani custodiamo la crisalide del nostro domani, individuale e collettivo.
Mentre è lì in attesa della metamorfosi finale e pronta a spiccare il volo, siamo ansiosi di percepire il lieve frullo delle ali della nostra piccola farfalla.
Qualcuno ha detto che il secolo scorso è finito davvero soltanto con questo 2020, così drammatico e imprevisto. Forse è davvero così.
Mentre restiamo rinchiusi e continuiamo a scambiarci abbracci virtuali, nel Paese e nelle singole case degli italiani il pathos di questi momenti si trasforma in un lievito potente e diventa pane.
Non è un caso se, durante la quarantena, si sia impennato il consumo di farina. Nel grembo delle proprie abitazioni gli italiani hanno iniziato a impastare, un gesto atavico che non possiamo liquidare come semplice esercizio di sopravvivenza, o un passatempo.
Il gesto semplice e primitivo dell’impastare raccoglie l’essenza del nostro vivere, la fiducia e la speranza. Sentimenti perduti, malridotti e triturati nel ritmo frenetico e disattento della nostra vita di ieri.
Forse per la prima volta, o comunque con occhi nuovi, i nostri figli hanno partecipato a un rito ancestrale, hanno impastato con noi la rinascita.
E’ vero che la tecnologia ci ha accompagnati in queste settimane, ma attenzione… Per la prima volta e finalmente è diventata un mezzo, uno strumento!! Per la prima volta è diventata “lo” strumento per raggiungere i nostri cari e poterli “guardare” negli occhi di nuovo.
Lo schermo nero si è trasformato in una finestra da aprire per raggiungere l’altro. Anche questo hanno visto i nostri ragazzi. Gli insegnamenti più profondi non passano mai attraverso le parole, hanno bisogno di fatti fondanti.
I fatti in questione oggi sono i piccoli gesti familiari che diventano riti di iniziazione di un nuovo ciclo. Stiamo rimettendo in ordine valori e idee di riferimento. Assieme alla libreria, abbiamo riordinato le priorità. Ciascuno di noi lo ha fatto nel proprio intimo, ma non solo. Ciascuno di noi ha condiviso le proprie riflessioni con le persone care, pianificando il futuro.
La rinascita è un atto di volontà e ha il carisma della saggezza e della sofferenza.
E assieme alla speranza, al desiderio della rinascita, in questo tempo abbiamo anche restituito dignità al dolore. Lo abbiamo guardato con uno sguardo diverso, ma soprattutto lo abbiamo guardato in faccia, temendolo certo, ma affrontandolo finalmente.
Il dolore è il grande catalizzatore di tutte queste energie che oggi diventano linfa vitale e ci spronano a prendere per mano i nostri ragazzi e accompagnarli in un sentiero nuovo, più “scabro ed essenziale”, ma più autentico e vicino alla nostra intima natura.
In questo sentiero saremo pronti di nuovo a costruire insieme a loro il futuro e saremo ancora una volta disponibili a essere abitati dalla speranza.

 

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