Chi di noi, sino a pochi mesi addietro, avrebbe mai immaginato di vivere un momento così drammatico? Chi avrebbe scommesso che la trama del più catastrofico dei film di fantascienza si sarebbe materializzata, e che noi ne saremmo stati i protagonisti? La realtà ha superato la fantasia, e siamo tutti sbigottiti e sgomenti, relegati in casa, a chiederci come sia stato possibile tutto questo e – soprattutto – come potremo venirne fuori.
Una caratteristica fondamentale dell’organismo umano è la sua capacità di resilienza (un termine con cui, in fisica, si indica la proprietà dei materiali di assorbire un urto senza rompersi): per sopravvivere, sa adattarsi alle condizioni ambientali, anche alle più avverse. E lo fa in modo originale, unico e irripetibile, grazie alla spinta vitale che gli permette di riorganizzarsi sulla base delle proprie risorse personali.
Se si volesse considerare con cinismo ciò che sta accadendo, si potrebbe pensare a una sorta di esperimento su scala mondiale; come se qualcuno stesse conducendo una ricerca finalizzata a rispondere al quesito: come reagisce l’essere umano di fronte a un rischio mortale, per cui non esiste via di fuga se non la prevenzione? Con che grado di resilienza? Cosa mette in campo in questo sforzo di adattamento a una situazione così anomala e paurosa? La risposta che emerge – e che trapela dai social e dai racconti di amici e parenti – è variegata, assume contenuti e toni emotivi diversi: le persone con un approccio più razionale si scambiano informazioni tratte da fonti scientifiche per prevedere la durata del fenomeno e prevenire gli effetti catastrofici; chi non regge l’ansia e ha bisogno di scaricarla o di condividerla, invia messaggi di allarme e disperazione, forse in cerca di chi possa offrirgli sostegno e contenere la sua emotività; chi cerca di esorcizzare la paura collezionando e rilanciando frasi ironiche e video umoristici sul fenomeno-pandemia; e infine chi – e sono i più – si affida a espressioni artistiche che trasformano l’ansia e il caos in armonia.
Quest’ultimo punto merita un approfondimento. Che la creatività avesse uno stretto legame con le paure ancestrali dell’essere umano, è risaputo. Alcuni autori parlano di senso della finitudine, come se fosse la paura della morte a spingere l’essere umano a realizzare prodotti del suo ingegno destinati a rimanere nel tempo, a testimonianza di chi li ha creati. Come se si tentasse di sopravvivere attraverso la capacità di dare vita a opere che rappresentano parti di sé. La creatività umana quindi sembra un appello all’essere conosciuti e apprezzati dai propri simili. Lasciamo un segno perché gli altri – i nostri contemporanei, ma anche i posteri – possano accorgersi di noi e amarci. Questo ha ancora più valore in tempi in cui l’angoscia di morte è nell’aria, si respira, ci opprime. Ecco perché cantare, ascoltare musica, scrivere o riscoprire poesie e romanzi, dipingere, scattare fotografie con intento artistico e così via, rappresentano un antidoto alla solitudine e alla paura. Sono la realizzazione di un ponte tra ciascuno di noi e gli altri che, attraverso quello che realizziamo, ci vedono e ci pensano con affetto e considerazione. Anche il desiderio di progettare la vita che verrà, una volta finita l’emergenza, è segno tangibile della nostra creatività. La speranza prevale sull’angoscia, la ricerca della bellezza nella nostra esistenza attuale e futura, ci salva dallo sconforto.
Rubrica a cura di Margherita Spagnuolo Lobb
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