(*) Il Rapporto annuale dell’Istat sulla situazione del Paese, diffuso nei giorni scorsi, conferma come, ormai da parecchio tempo, l’Italia si trovi nel pieno di un processo di cambiamento strutturale dal punto di vista demografico, i cui effetti negativi si vedranno nei prossimi decenni.

Senza considerare le conseguenze nefaste della pandemia, si prevede infatti che, rispetto agli oltre 60 milioni di residenti odierni, la popolazione italiana possa scendere a 59,3 milioni entro il 2040 e a 53,8 milioni entro il 2065. E ciò avverrà perché da svariati anni il numero complessivo delle nascite in Italia non è tale da compensare quello dei decessi.

Agli ottimisti ad oltranza, che ritengono che l’attuale inverno demografico possa essere spazzato via in poco tempo, dovremmo ricordare che le nascite non potranno certo risollevarsi in modo significativo rispetto ai livelli attuali, a causa di un fattore di carattere naturale e strutturale: il numero delle donne in età feconda tenderà infatti gradualmente a diminuire. E, fino a prova contraria, sono le donne a mettere al mondo i bambini!

E come non tenere presente che un’altra, pesante conseguenza di questi dati riguarda la diminuzione della quota degli individui in età attiva (15-64 anni),  che scenderà dal 64% al 55%, mentre  la popolazione in età di pensione,  di 65 anni e più, vedrà crescere la sua consistenza di più di dieci punti percentuali: dall’attuale 23% ad oltre il 33%. “Il vistoso calo atteso della parte economicamente vitale della popolazione – rileva il rapporto Istat – a vantaggio di quella ultrasessantacinquenne, fa emergere in tutta chiarezza il problema della sostenibilità del sistema pensionistico e, più in generale, della sostenibilità del sistema di protezione sociale nel suo complesso”.

Sono dati inequivocabili, che impongono a chiunque abbia a cuore il futuro della nostra società di considerare prioritario il tema della  fecondità.

Anche i dati Istat sull’occupazione a maggio sono molto preoccupanti, perché confermano non solo che il mercato del lavoro, come era facilmente prevedibile, si trova in uno stato di notevole sofferenza, ma come cresca in misura notevole il rischio gravissimo di un ulteriore allargamento delle disuguaglianze sociali e generazionali.

In particolar modo le nuove generazioni (compresi anche gli attuali trentenni) si trovano purtroppo sempre più spesso in situazioni di estrema precarietà: chi ha il lavoro rischia di perderlo mentre, per chi non lo aveva, trovare un’occupazione dignitosa diventa una chimera.

E, come rilevano i demografi, questo stato di profondo disagio non può che ripercuotersi sui progetti e sulle scelte di vita che proprio in questa delicata fase della vita solitamente si compiono: sposarsi, mettere al mondo dei figli, acquistare una casa.

Trovo incredibile come non ci si renda conto della gravità della situazione demografica italiana: non ci può essere crescita stabile, strutturale ed effettiva, senza efficaci politiche familiari, che si occupino in maniera incisiva dell’occupazione, con particolare riguardo per quella femminile e della cura dell’infanzia, troppo spesso dimenticata come è purtroppo avvenuto in questi mesi di pandemia.

E’ stato correttamente fatto notare che in altri stati europei c’è da tempo una grande attenzione per favorire le nuove nascite: in Germania nell’ultimo decennio sono aumentate di circa 150mila ogni anno, in Italia sono invece diminuite di 110mila all’anno.

Record negativo di nascite

Nel 2019 l’Istat ha rilevato come il totale dei nati in Italia abbia segnato, per il settimo anno consecutivo, un nuovo record negativo: il valore più basso mai registrato in oltre 150 anni d’Unità Nazionale. E proprio l’Istat si interroga preoccupata sullo scenario della natalità nella nostra nazione nei prossimi anni, dopo la pandemia. “Non vi è dubbio – si afferma nel rapporto emanato nelle scorse settimane –  che scenari a tinte fosche saranno quasi certamente destinati a fare da sfondo alla sempre più impegnativa scelta se fare, o meno, un (o un altro) figlio. Scelta che inevitabilmente andrà maturando entro un clima di incertezza e di difficoltà, economiche (legate ad occupazione e reddito) e non solo, sulla cui durata non è ancora dato sapere “per quanto tempo”. Esiste il rischio, fortissimo, che nel 2021 nasceranno in Italia meno di 400mila bambini, trasformando sempre più l’Italia in una nazione dalle culle vuote.

Occorre quindi intervenire al più presto e con misure davvero consistenti ed adeguate per sostenere la natalità, che è da sempre un indicatore infallibile delle aspettative e delle speranze nel futuro nutrite dalle famiglie.

Family Act

Il Family Act potrà dirci se effettivamente ci sarà nel nostro paese una politica che non lasci da sole le famiglie che vogliono avere dei figli.  Dobbiamo prendere consapevolezza che siamo la sola nazione dell’Europa dove i nuovi nati sono meno degli attuali ottantenni e che ciò è devastante anche per il futuro economico e sociale della nostra società: pochi giovani dovrebbero “assistere” (pagando pure sanità e pensione) tanti vecchi.

Se non si inverte la tendenza, aumenteranno così i costi fissi, che possono essere coperti solo con un aumento delle tasse. L’incremento della tassazione drenerà risorse e provocherà la diminuzione di conseguenza di consumi e investimenti. In poche parole: con meno bambini si produrrà sempre di meno, il sistema sociale costerà di più e cresceranno le tasse.

Assegno unico per figlio

Dobbiamo riconoscere che finalmente, grazie soprattutto all’azione del Forum delle Associazioni Familiari, che riunisce 47 movimenti ed associazioni del mondo cattolico ed è presieduto da Gigi De Palo, l’introduzione in Italia dell’assegno unico per figlio sia diventato centrale nel dibattito politico e istituzionale. Si riconosce che la prima impresa nazionale è la famiglia e che i figli sono un investimento, il migliore per tutti.

La nostra speranza è che, dopo l’avvio della discussione alla Camera avvenuto nei giorni scorsi in un clima di proficua concordia, si possa arrivare all’assegno unico prima del prossimo autunno, così da sostenere davvero le famiglie con figli, che sapranno con certezza e trasparenza su quale sostegno pubblico poter contare: un importo per ciascun figlio a carico fino a 21 anni, senza distinzioni di reddito, con una maggiorazione a partire dal terzo figlio o per figli con disabilità.

Voglio concludere con una nota di speranza: anche il Rapporto Istat conferma che le giovani coppie italiane la voglia di mettere al mondo dei figli ce l’hanno ancora. Sta alla società e alla politica prendere coscienza della gravità della situazione e rendersi conto che bisogna disinnescare al più presto questa mina demografica costituita dalla denatalità, che tarpa le ali anche alla crescita economica.

Sta a noi cattolici batterci per evitare che le recenti manifestazioni pro-aborto ci facciano dimenticare che dobbiamo sempre mettere al centro di ogni scelta il valore incommensurabile della vita.

 (*) L’autore è presidente provinciale del Forum delle Associazioni Familiari e già               responsabile nazionale dell’Anci per la politiche familiari.

Questo servizio è stato pubblicato nella edizione tipografica di Cammino, speciale “Eco della Quarantena”.

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