Tra i predicati più significativi associati al termine casa c’è aprire: aprire casa vuol dire infatti renderla abitabile, riassettarla, magari dopo un’assenza prolungata.
Il sostantivo assenza, inoltre, è termine evocativo e suggestivo, che se connesso a casa ne amplifica il significato, poiché indica non soltanto l’assenza fisica o l’assenza in senso lato, ma indica anche e soprattutto la mancanza della casa come luogo per eccellenza. Quando si vuole comunicare uno stato di benessere, serenità e tranquillità si dice in effetti che ci si sente a casa propria.
Viceversa, l’assenza dalla casa — specie se prolungata o forzata —, il mancato possesso della casa finisce per indicare una specie di malessere o di sotterranea inquietudine; si parla in questo caso di Nostos, che è condizione esistenziale tipica di chi essendo lontano dalla propria casa, aneli ritornarvi il più presto possibile. Da Ulisse in poi è questo il sentimento più vero e più profondo di chi si trova lontano dagli affetti e dai difetti delle persone di casa e dunque dalla casa medesima.
Chi non possiede casa, la cerca. Celebre in questo senso il film del Principe della risata, Totò cerca casa, nel quale la ricerca della casa da parte del protagonista diviene spasmodica e a tratti drammatica, pur se inscritta in un contesto comico e umoristico. A cimentarsi nella ricerca della casa è ora Sebastiano Aglieco, poeta e autore del libro Casa delle lucertole (Libraccio editore 2019). Si tratta del primo libro di narrativa esitato dal poeta di origini sortinesi (Sortino è una cittadina a pochi chilometri da Siracusa), che ha già pubblicato svariate raccolte di poesia, tra le quali Dolore della casa (Il ponte del sale 2006). Il testo imbastito da Aglieco è sostanzialmente poesia che per l’occasione è divenuta espressivamente prosa: ogni parola, ogni sospiro, cioè, è pervaso da un inconfondibile afflato poetico. Poetico è lo sguardo dell’autore e la musicalità interna che spontaneamente ne deriva, talvolta la muscolarità, per quanto la narrazione fluisca con pregevole scorrevolezza e il racconto si distenda, per così dire, allungando simultaneamente le proprie spire. Segno che poesia e bisogno di raccontare e di raccontarsi si amalgamino bene, si fondano in un testo e in un contesto che possiamo certamente definire ispirato e profondamente sentito. Casa delle lucertole è il risultato di un percorso, che si è appunto determinato nell’ordine dalla ricerca, del riconoscimento, dell’acquisto e della ristrutturazione-ricostruzione della casa.
Ma non basta. Non è sufficiente tutto ciò a comprendere il lungo e faticoso percorso affrontato dal poeta siciliano, perché c’è da dire che Aglieco sia costitutivamente alla ricerca della casa, e anche dopo aver riconosciuto in un casolare abbandonato la casa tanto desiderata, dopo averla acquistata e dopo avere faticosamente avviato lunghi lavori di ristrutturazione, non possiamo dire che pace sia stata fatta. Tutt’altro. La testimonianza di questo che stiamo dicendo sta nel fatto che nella prima parte del libro l’autore racconti delle tante case nelle quali egli ha trascorso infanzia e giovinezza. Case perlopiù tristi o che evocano ricordi tristi, anguste, capaci di rappresentare una dopo l’altra quanto grande sia stato il disagio di chi sapendo di vivere temporaneamente in una casa è perfettamente consapevole di non essere a casa propria.
Nella terza parte del libro, la casa acquistata e in via di ristrutturazione-ricostruzione ormai comincia a manifestare la propria personalità, effetto dei primi lavori di rifacimento dell’immobile, dei mobili nuovi, dei tanti libri che a mano a mano vengono trasferiti dalla vecchia dimora a quest’altra, che inizia a respirare e a sostenere dialetticamente un’autentica vita di relazione; relazione che intercorre tra la casa che viene abitata e chi la abita. Gli spazi creati ex novo prendono forma, a suggello della profonda relazione che frattanto va instaurandosi, proprio grazie alla fatica necessaria a tirare su la casa medesima, stimolando sentimenti nuovi, a loro volta stimolo a nuove fatiche.
La relazione tra abitanti e luogo abitato; interno ed esterno; cultura e natura diviene segno concreto e imprescindibile di unità e distinzione, che prende corpo (e anima) nella scrittura del poeta Sebastiano Aglieco.
Casa è poi in un certo senso anche la città di Milano, dalla cui influenza ora lo scrittore intende allontanarsi definitivamente, in una sorta di canone inverso: una fuga che si configura come un viaggio di ritorno in luoghi sconosciuti, la cui reale consistenza è quindi tutta da costruire, persino da inventare. La separazione fisica con la metropoli prima o poi avverrà, e tuttavia questo legame con la città odiata e amata è decisivo, con tutto il fardello delle case precedenti, le vite precedenti: a Milano come a Monza, a Sortino, Cassibile, Floridia. Una Via Crucis le cui tappe fondamentali sono scandite dal passaggio da una casa all’altra; una lunga serie di stazioni all’inizio non volute e non cercate, ma che una buona volta sembrano ricomporsi in una sorta di equilibrio tra forze, per quanto piuttosto precario. È così che dalla Casa delle vespe si passa faticosamente alla Casa delle lucertole. Ed è così che le ultime stazioni di questa che per amore di metafora continuiamo a chiamare Via Crucis o Via Dolorosa sono invece volute, cercate con determinazione.
La natura che prima si era impossessata di ogni angolo della casa viene ora ostacolata in ogni modo, combattuta: ogni essere vivente che si aggira dentro casa e nelle immediate vicinanze viene individuato, nominato, classificato; ogni cosa deve tornare al proprio posto, nei ricordi e nella vita quotidiana. Le vespe devono sparire e fare posto all’uomo: alla civiltà, alla cultura, alla relazione dell’uomo con la natura e degli uomini tra di loro, che è una forma di spiritualità. Le lucertole costituiscono invece un caso a sé.
Le lucertole vivevano da sempre ai margini della casa, devono perciò avere piena cittadinanza, pur rimanendo anonime; il poeta rinuncia volontariamente a individuarle e a classificarle, come ha fatto con il resto di animali e piante.
L’uomo, il poeta incrocia lo sguardo della bestiolina, che sembra indecisa se dirigersi verso l’incavo della mano tesa o avvicinarsi al cuore. Ed è così si esprime in definitiva il poeta, altrove, una volta per tutte: Qui siamo al sicuro / il vento di ponente non passerà. (da Dolore della casa, Piccola tregua, p. 93). Il mistero rimane dunque a fondamento di ogni umano anelito.