In un momento così pieno di fatica ma anche di speranza per la diocesi siracusana, facciamo gli auguri al nuovo Arcivescovo e gli promettiamo sostegno per realizzare dei valori che possano guidarci in questo cammino.

In una città in cui la povertà, già esistente prima del Covid, aumenta sempre di più, sarà importante occuparci di questa realtà prima di tutto. I nuovi poveri sono padri di famiglia che hanno perso il lavoro, sono persone che erano in difficoltà già da prima della pandemia, e che adesso sentono a rischio la loro stessa esistenza e quella dei loro cari. Ma c’è anche un’altra povertà, di cui dobbiamo occuparci: i giovani che non trovano neanche quelle poche possibilità lavorative a cui si aggrappavano, studenti che, costretti alla didattica online, non sono sostenuti a trovare un luogo in cui studiare, adolescenti penalizzati nell’aspetto più importante dello loro crescita, che è il rapporto con i pari e l’esercizio fisico, bambini che non possono esplorare il mondo spontaneamente andando a giocare a casa dei compagnetti o abbracciando le persone che amano, famiglie in disagio relazionale che “scoppiano” con violenza. Certo, non possiamo risolvere questi enormi problemi causati dalle restrizioni necessarie a contenere la pandemia, ma possiamo non dimenticare chi ne soffre, possiamo prenderci cura del loro dolore.

In questo momento, ognuno di noi ha il proprio dolore, nessuno è indenne dalla falce darwiniana che sta colpendo l’umanità, ma il conforto fraterno, il riconoscimento di questo dolore, è ciò che siamo chiamati, come cristiani e come cittadini, a dare. A volte questo dolore che ci circonda è così grande, così inimmaginabile (si pensi per esempio al dovere lasciare un familiare da solo nelle condizioni di fame d’aria in cui il virus purtroppo a volte riduce) che siamo costretti a dissociarci, a vivere in una dimensione parallela che sentiamo più possibile per noi, ad alienarci per sopravvivere.

“Fratelli tutti” è l’esortazione semplice e profonda di Papa Francesco. In questo momento di grande dolore e frustrazione, ciò che fa la differenza dei cristiani è essere fratelli, fare sentire la nostra vicinanza a chi vediamo soffrire, fargli sentire che noi ci siamo, che nessun virus, nessuna paura potrà toglierci la libertà di essere vicini ad un fratello. Questo sforzo di trascendere noi stessi per riconoscere il dolore dell’altro ci aiuta ad attraversare anche il nostro dolore, e a desensibilizzarci di meno, a guardare negli occhi sia un malato di Covid che ha paura d morire, che un ragazzo negazionista che insiste a non mettere la mascherina per paura di non vivere.

La gentilezza, la cura, la fiducia, sono valori che ci consentono di guardare al bene comune, e di preparare un futuro più stabile. Aiutare un fratello che soffre oggi, essergli vicino, significa aiutare virtuosamente anche noi stessi, ed essere tutti più sereni domani, quando dovremo ricostruire il disastro lasciato dalla pandemia. Un fratello che soffre è una ferita per tutta l’umanità, e alla fine se questa ferita non è curata crea un danno per tutti, come i germi di una ferita non curata si diffondono in tutto il corpo e creano danni di gran lunga maggiori.

Evitare di uscire di casa per non diffondere il virus non è una prigione: possiamo fare molte cose con i mezzi tecnologici a nostra disposizione. Questo è il momento di non chiuderci nel nostro orticello, ma al contrario di aiutare chi sta male, di fargli sentire la nostra vicinanza. Noi possiamo! Questo dovrebbe essere il nostro motto di cristiani. Possiamo guardare il volto del fratello, le sue preoccupazioni, il suo sconforto, possiamo uscire da noi stessi e diventare più tolleranti e compassionevoli. Sarà l’orgoglio più grande di essere parte di una diocesi unita che non si trincera dietro un linguaggio incomprensibile, ma tende la mano a chi ci guarda con dolore.

Un gesto di ascolto e di vicinanza con i fratelli soffrenti diventa un gesto potente, che arriva ai piccoli, li istruisce nei valori di civiltà e cristianesimo.

Su queste esperienze di fratellanza si costruisce la fede, che è un dono, non può essere imposto. La fede nasce spontaneamente da un seme di bontà, spesso generato dall’osservazione di modelli, di persone che sono state importanti.

Ecco, c’è molto da fare nella nostra città, ma possiamo iniziare da questa occasione di vicinanza ai più bisognosi che la pandemia ci offre.

Buon lavoro al nostro Arcivescovo e a tutti.

Rubrica a cura di Margherita Spagnuolo Lobb – Scuola di Specializzazione in Psicoterapia

Istituto di Gestalt HCC Italy – Centro Clinico e di Ricerca

www.gestalt.it   – training@gestalt.it

– Intervento già pubblicato nell’edizione tipografica di Cammino, novembre 2020.

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