Oggi è forse il più triste giorno della storia repubblicana. Non penso di esagerare. L’Italia, gli italiani, nei momenti più difficili hanno sempre dimostrato il massimo della convergenza, accantonando atavici rancori e promuovendo comuni obiettivi. Un esempio per tutti: il governo di solidarietà nazionale con la politica delle convergenze parallele vinsero il terrorismo sviluppando un unico fronte partitico, giudiziario, sindacale e imprenditoriale.

Stamani invece, in piena seconda ondata pandemica, rappresentanti sindacali del pubblico impiego hanno pensato di proclamare uno sciopero per reclamare diritti che potevano benissimo aspettare la prossima primavera, così come tutta Italia sta aspettando la stagione della fioritura, addirittura in condizioni di mancanza assoluta di reddito proprio.

L’apice delle argomentazioni a sostegno della necessità di indire subito lo sciopero è stato espresso da un leader sindacale su una primaria radio nazionale, quando ha motivato la risolutezza della scelta affermando che “il pubblico impego è rappresentato da quei dipendenti che elargiscono i fondi del decreto ristori”.

Appunto, fosse già solo per questo lo sciopero di oggi, per quanto legittimo, è fuori tempo! Tuttavia è il segno preoccupante di un tempo in cui le crescenti tensioni sociali rischiano di sostituire l’egoismo di casta al solidarismo civico che, in altre epoche non molto lontane, ha reso forti le democrazie occidentali. Si ricordi la gestione del secondo dopo guerra con gli aiuti americani così come la scrittura della Costituzione repubblicana fra cattolici, comunisti e liberali;  non si dimentichino quindi i frutti della rancorosa gestione del post prima guerra mondiale.

Se in tanti utilizzano la metafora della guerra per definire questi mesi, possiamo convenire che non si sono mai sentite notizie storiche di sciopero dei cucinieri mentre i soldati combattevano in trincea. Ovviamente siamo consapevoli che nell’arcipelago del pubblico impiego ci sono persone che stanno svolgendo ruoli essenziali ed in prima fila nel contrastare il covid-19, nelle corsie degli ospedali così come nella prevenzione dell’ordine pubblico, ma proprio questi non potranno assentersi dal posto di lavoro.

Certo, il modello comportamentale di questa classe politica autoreferenziale (che ha mutuato dai sindacati il principio della cooptazione a discapito del riscontro elettorale) non è certo trainante: in attesa di un piano di investimenti e di sburocratizzazione si litiga a chi, fra maggioranza e opposizione, promette di più. Intanto proliferano le richieste di commissariamenti, immunità penali preventive, di commesse secretate, di mance clientelari spacciate per bonus ecologici ed informatici, il tutto sul conto delle future generazioni con un crescente ed incontenibile debito pubblico, senza che alcun rappresentante istituzionale abbia il coraggio di parlare di condivisione delle inevitabili responsabilità e conseguenze.

E comunque, personalmente, non mi piace la metafora della guerra per contrastare il covid-19; oggi il mondo è malato, non ha bisogno di strategie di guerra ma di piani terapeutici che coinvolgono il corpo e la mente: nessuno quindi può pensare di curarsi da solo e su questo, almeno dall’Europa, pare che arrivino segnali di concreta speranza.

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