Titolo della settimana: I tre giorni del Condor di Di Sydney Pollack, 1975.

Da un romanzo di James Grady intitolato Six days of the condor, il regista premio oscar Sydney Pollack, uno degli alfieri di quel cinema-contro che è stata la New Hollywood, trae I tre giorni del Condor; aiutato dalla sceneggiatura  di Lorenzo Simple Jr e David Rayfiel.

Altro film epocale e oggi più attuale che mai visti i clamorosi avvenimenti politici americani ancora in corso.

La pellicola di Pollack, oltre essere film politico e thriller spionistico di altissimo livello, è al tempo stesso un’opera di denuncia che analizza e certifica il crollo del rapporto di fiducia dell’americano medio nei confronti delle proprie istituzioni, anzi deve addirittura guardarsi da esse. Moltissime volte la New Hollywood ha raccontato e criticato apertamente magagne e infamie del proprio paese con film come “Tutti gli uomini del Presidente “, “La conversazione” e altri. In questo caso è Pollack a dare un’altra spallata all’American Dream, con protagonista assoluto Robert Redford, basta il nome, che con Pollack ha girato ben 7 film, tra i quali spiccano oltre a questo, Corvo rosso non avrai il mio scalpo e Come eravamo.

Ne I tre giorni del Condor interpreta Joe Turner, nome in codice Condor, che si ritrova catapultato in una vicenda atroce, infatti è l’unico sopravvissuto allo sterminio di un’intera sezione staccata della Cia impegnata a studiare ed interpretare libri e giornali provenienti da tutto il pianeta, in cerca di messaggi o trame sospette che potrebbero minare gli equilibri internazionali.

Basterebbe soltanto questa scena per rendere inarrivabile il  film, per l’uso del montaggio e del sonoro utilizzati in maniera perfetta . Joe si salva casualmente dalla mattanza perché quando il commando killer guidato da Joubert, un glaciale Max Von  Sydow, irrompe nella sezione uccidendo sette componenti, lui è fuori a prendere il pranzo d’asporto. Il Condor è un tipo sveglio e ci mette poco a capire che oltre ai killer c’è qualche altro forse più in alto, forse nella stessa Cia che vuole farlo fuori e proprio grazie al suo lavoro che consiste nel divorare centinaia di libri di spionaggio e gialli, riesce a depistare gli inseguitori assassini. Nella sua fuga in una New York che si prepara al Natale, si imbatte in Kathy fotografa che fissa solamente immagini autunnali e malinconiche, il nostro la “sequestra”, ma soltanto perché ha necessità di un posto dove nascondersi.

Tra queste due anime sole nasce una delle storie d’amore non dette che il cinema abbia mai raccontato. Inizia cosi uno dei film più belli e inquietanti di quella meravigliosa stagione del cinema americano, una storia dove la linea di demarcazione tra  buoni e cattivi è davvero flebile e dove nessuno può fidarsi di nessuno. Girato esattamente un anno dopo l’esplosione dello scandalo Watergate che portò all’Impeachment del Presidente Nixon e con la ferita Vietnam ancora aperta. Inoltre il film custodisce molti segnali profetici che poi si sono incredibilmente rivelati veritieri: come la guerra nel golfo per il petrolio e gli attentati dell’11 settembre. Pollack ci dice chiaramente e senza giri di parole che l’unica speranza di salvezza è Non credere nelle istituzioni, perché le persone di cui dovremmo fidarci potrebbero essere i nostri nemici e ancora oggi a più di quarantacinque anni dall’uscita del film lo scambio di battute finali tra Joe Turner e il suo capo Higgins è da brividi. Straordinario tutto il cast con Faye Dunaway migliore attrice di quegli anni.

Un capolavoro senza se e senza ma. Per questo film Sydney Pollack fu premiato anche in Italia con il David di Donatello.

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