In occasione dell’anniversario della nascita, riceviamo e volentieri pubblichiamo questo contributo della terziaria francescana di Melilli, la dott.sa Paola Bellassai, che tratteggia la sensibilità poetica e francescana di una melillese, Marianna Missale (12 gennaio 1867-23 dicembre 1938)*.

“O quale istante! Lasciami

posar sopra il tuo core,

come Giovanni all’ultimo

banchetto dell’amore”.

Questi gli appassionati versi della poetessa Marianna Missale, raccolti nel “Mistico Canzoniere” pubblicato nel 1950, dopo la sua morte, dal nipote Salvatore Immè. Mariannina Missale nacque il 12 Gennaio del 1867 a Melilli, paesino collinare in provincia di Siracusa, dove visse tutta la sua vita. Era la quarta dei sette figli di Salvatore Missale e Maddalena Scatà, una coppia benestante dell’epoca. Da giovinetta frequentò la scuola femminile presso il Collegio di Maria, che si ergeva dirimpetto al Duomo. Proseguì gli studi da autodidatta, appassionandosi alla cultura e soprattutto alle belle lettere. Per la sua formazione intellettuale può essere definita un’ “antesignana del mondo femminile dotto melillese”; Non a caso negli annali di Melilli è l’unica figura femminile colta che viene ricordata. Mariannina non si sposo’, trascorse tutta la sua esistenza nella casa paterna, e si prese amorevolmente cura dei due nipoti Antonino e Salvatore, rimasti orfani per la prematura scomparsa della sorella Maria Francesca.

Contribuì ad affinare la sua profonda sensibilità religiosa la formazione francescana che ricerco’ sin dalla sua giovinezza. Ricevette infatti la vestizione al T.O.F. il quattro Ottobre del 1903, ed emise la Professione l’anno successivo. Ebbe anche incarichi di servizio all’interno dell’ amato ordine. Entrò a far parte del Consiglio nell’Ottobre 1935, e per molti anni ricoprì il ruolo di Ministra. Mariannina si spense il 23 Dicembre 1938, all’età di 71 anni, dopo aver dettato ella stessa l’epigrafe da scolpire sul suo marmo tombale: “In pace in idipsum dormiam et requiescam“.

Nei suoi versi aveva sempre cantato la morte non come la fine di ogni cosa bella, ma come mistica unione dell’anima con l’amato: “Per te m’è dolce vivere, più dolce fia morir”. In altri canti descrive la vita come esilio, e la morte come ritorno alla patria beata. Unico rimpianto per l’anima che si diparte non poter più godere dell’Eucarestia, di quel pane che per tutta la vita accompagna l’uomo racchiudendo nel suo grembo il Divin Redentore.

Delicatissima la sensibilità Eucaristica della nostra poetessa, che pervade tutto il Canzoniere. E, in questo, un ruolo fondamentale lo assume la formazione francescana, che sin dai più verdi anni ha accompagnato Mariannina: “Con quello stesso giubilo, con quello stesso ardore/ con cui cantò Francesco, mi mise in foco amore;/ ora il mio dire è povero; ma quanto al cor che crede/ è bello e irresistibile questo mister di fede!/”. Sappiamo quale sublime posto occupi il mistero Eucaristico nella vita e nella spiritualità di Francesco, tanto che, racconta il suo primo biografo, Tommaso da Celano, “ardeva di amore in tutte le fibre del suo essere verso il sacramento del Corpo del Signore”. E, in un’epoca storica in cui non si dava molta attenzione al decoro prestato al sacramento dell’altare, Francesco mandava i suoi frati per il mondo con pissidi preziose perchè riponessero in un luogo più degno possibile il “prezzo della redenzione”. E dall’amore all’Eucarestia nasce anche l’amore al sacerdote, le cui mani consacrano il pane e il vino per transustanziarli nel corpo e sangue di Cristo. Tanto che, dice Francesco, “se mi capitasse di incontrare insieme un santo che viene dal cielo e un sacerdote poverello, saluterei prima il prete e correrei a baciargli le mani. Direi infatti: < ohi! aspetta, san Lorenzo, perchè le mani di costui toccano il verbo di vita e possiedono un potere sovrumano!>”. Speculare alla mistica dedizione di Francesco all’Eucarestia vi è poi quella di sorella Chiara, la quale respinse l’attacco dei Saraceni alla città di Assisi stringendo tra le mani la pisside contenente il SS Sacramento, e in tutto il mondo grande è il rispetto con cui le clarisse ancora oggi onorano Gesù Sacramentato.

Il “Mistico Canzoniere” è tutto impregnato dall’odore dell’incenso che sale ad adorare il Sacro Mistero, e pervaso da silenzio e quiete, intervallati dal “suon della celeste lira”, arcana melodia degli angeli. La musicalità del verso è resa dalle quartine a rima alternata, rare volte baciata. Sul piano visivo il Canzoniere si presenta a varie tinte. Nella prima parte prevale il bianco candido dell’Ostia, e, a corredo, “il bianco velo” che cela il Divin Redentore, l’ “intatto giglio”, segno di purezza, e la “sposa” di Gesù Sacramentato, così come la poetessa si definisce in qualche suo canto. Poi una tenue tinta azzurra, “splendor del cielo”, per passare al grido del rosso della passione: “tu sempre intrisi avrai di sangue i piè”, “da quella piaga sgorgano fiamme siccome mar”. Ma c’è anche un rosso non cruento, che significa l’amore appassionato del cuore per la mamma celeste: “Rose purpuree questa mattina/ porto ai tuoi piedi, o gran Regina;/ simbolo sono col bel colore/ di quell’affetto ch’io sento in core.” Infine le tinte multicolori della primavera: “Come la fida lampada/ per te vorrei brillare/ e, come i fior, soavissimi/ profumi a te mandar/ amarti nel silenzio/ e nel dolor quaggiù;…”. La poetessa vuole adorare il suo Signore nel silenzio, in piena umiltà, come i fiori di campo, tra cui nessuno è migliore degli altri. Tutti diversi nella forma e nel colore, ma tutti con pari dignità di fronte a Dio. Questo atteggiamento di umiltà è ancora mutuato dal mondo francescano, è il programma di vita minoritica. Se guardiamo la prima Ammonizione di San Francesco, partendo dall’umiltà di Dio che “ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote”, si giunge all’umiltà che il francescano deve tenere come condotta di vita nei rapporti con i fratelli.

La nostra poetessa si propone, con i suoi versi, di rendere omaggio a Gesù Eucarestia, in riparazione degli oltraggi che il Pane del Cielo subisce ogni istante in tutte le parti del mondo. Colui che ha dato la vita per riscattare la nostra dalla morte eterna viene ancora oggi vilipeso e maltrattato sotto le specie eucaristiche. L'”amore non è amato”, come ebbe a dire San Francesco. Molti canti della seconda parte del canzoniere sono dedicati alla passione di Cristo, al sacrificio estremo da cui l’Eucarestia trae origine. E l’estatica adoratrice dei primi versi si trasforma in compagna di dolori nella passione: “Ahi! del Taborre splendente di luce/ al gaudio il core non è avvezzo più/ ma sulla via, che al Golgota conduce,/ tra affanni ed onte io seguirò Gesù”.

Preziosissimo il canto “Pietà di rondine” che si apre con la scena della Madre che stringe al cuore il Figlio illividito dalla morte, quando una spina importuna cade a trafiggere ancora una volta l’amata fronte. Una rondine, volando verso il suo nido, si accorge della mesta che cerca invano di liberare la testa del figlio da quella spina; si lancia per toglierla, ma la punta la trafigge e il suo petto resta macchiato di sangue. Così conclude la poetessa: “Anch’io una spina di quella corona/ dal capo tolgo al dolce mio Signore/ e con essa ti prego Madre buona,/ di trapassare questo afflitto core!”. Sulle stesse note la doppia quartina in dialetto siciliano, una chicca del canzoniere, dal titolo “La riparatrice”.

Nel verso fresco e spontaneo della Missale si nota una certa sensibilità moderna, resa evidente dai molteplici riferimenti alla cultura scientifica del tempo: “Tu qual magnete attiralo più fortemente a te”; “L’atomo io sono della nebulosa/ d’angeli, che si aggira attorno al tuo altare”. Inoltre, nel canto “Il Cherubino” c’è un bellissimo alterco tra la poetessa e l’angelo, in cui quest’ultimo esalta la dolcezza di poter contemplare il Signore senza veli, mentre la Missale ribatte quanto nobile sia cercarlo nella fede. Ecco l’esaltazione, squisitamente moderna, della dignità dell’uomo che è quasi in grado di competere con quella delle gerarchie angeliche: “Tu godi in cielo le celesti ebbrezze,/ io risposi all’Arcangelo beato;/ ma l’umil pane, che io adoro e mangio/ l’hai tu gustato?”. Dunque Mariannina Missale, una donna, una francescana e una poetessa dei nostri tempi!

 

(*) Cenni biografici

Figlia di Salvatore Missale e di Maddalena Scatà, quarta di sette figli, Maria Francesca, Maria Eugenia, Giovannina, Marianna, Giovanni, Gaetano, Giuseppe.

Mariannina venne battezzata nell’unica parrocchia allora esistente, S. Nicola intesa “a Matrici”. In genere si battezzava subito dopo la nascita, l’indomani.

Melilli all’Epoca contava 11 chiese.

Entrò nel Terz’ordine Francescano all’età di 36 anni con il rito della vestizione il 4 ottobre 1903

Per parecchi anni venne eletta Ministra del Terz’Ordine Francescano (OFS).

La vocazione francescana:  seguire le orme di Francesco d’Assisi e di S. Elisabetta d’Ungheria attraverso un percorso ascetico che sfocia nella mistica.

Scrivendo di S. Francesco diceva: “mi mise in foco il cuore”, da qui la sua missione francescana: “facciamo ovunque e sempre che l’Amore sia amato”.

 

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