Titolo della settimana: Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme, 1991.
Clarice senti ancora gli agnellini?” Visto che la pandemia ci impedisce di incontrarci, ci limita nella vita di tutti i giorni, dobbiamo trovare un modo alternativo per festeggiare insieme ricorrenze e anniversari che, come già detto in questa rubrica, vanno ricordati, perché fanno parte della nostra esistenza e possono esserci di grande aiuto per cominciare a rivedere la luce in fondo al tunnel.
Ogni anno da molto tempo ho quasi la mania di annotare titoli che hanno segnato in maniera indelebile la storia del cinema e non solo, ma anche del costume, entrando a far parte del nostro immaginario e a distanza di anni, decenni, ricordiamo e ne citiamo ancora intere frasi, come fossero canzoni, entrate a far parte del nostro lessico personale. Poi quando ci capita di vedere un film con quell’attore e quell’altra attrice a volte esclamiamo “È il protagonista di quel film.. ” anche se non ne ricordiamo in quel momento il titolo.
Io personalmente e per fortuna, diciamo deformazione professionale filmica o sportiva, ricordo posto, luogo e ora dei grandi avvenimenti cinematografici e sportivi a cui ho assistito. Oggi festeggiamo il 30esmo anno di una pietra miliare, una di quelle che fanno da spartiacque tra il prima e dopo: Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme, tratto da un romanzo di Thomas Harris,peraltro ottimo libro. Per poi trasportarlo sullo schermo bisogna che vada nelle mani giuste, cosi è stato. Questo film ha anche il merito, insieme a Misery non deve morire di Rob Reiner di aver rivitalizzato e riportato il genere Thriller-Horror alla notte degli Oscar, dove l’Accademy è stata da sempre un po’ avvezza (ne sa qualcosa il grande Alfred) e con la puzza sotto il naso verso questo genere.
E grazie alla scelta geniale della produzione di spostare la data di uscita del film, per non rischiare di ritrovarsi a sfidare Balla coi lupiKevin Kostner, portò a casa clamorosamente tutte e cinque le statuette principali: film, regia, attore e attrice protagonisti e sceneggiatura un trionfo. Ancora oggi detiene questo record in compagnia di Accadde una notte, 1934 e Qualcuno volò sul nido del cuculo, 1975, cambiando da quel momento le coordinate del serial killer al cinema con un cattivo affascinante, colto e che non nasconde affatto il male che rappresenta, amante del buon vino, della bellezza e dalla cultura straordinaria, un vero e proprio angelo caduto. Se a tutto questo aggiungiamo il carisma e la bravura di sir Anthony Hopkins il gioco è fatto.
Il grande attore per prepararsi al ruolo partecipò a processi e accuse contro assassini seriali e non ,e alle fine delle riprese la coprotagonista Jodie Foster lo ringraziò pubblicamente per le reazioni genuine provocate sul set con l’iniziativa fuori copione, da parte di Hopkins, di ricordargli la origini povere e contadine. Grandezza smisurata di un attore che in soli 24minuti (tanto è in scena Hopkins ) da vita ad una icona della settima arte. Hannibal Lecter abbiamo detto, emblema dell’Angelo caduto, la contraddizione umana, medico stimatissimo, psichiatra ma anche il cannibale che aleggia nei nostri incubi. E lei Clarice inesperta, sola e indifesa che il suo capo sezione Fbi manda tra le braccia di Lecter per servirsi della sua mente psicopati6ca per fermare un altro killer seriale soprannominato Buffalo Bill, scoprirete guardando il film il motivo del soprannome. Un confronto che Lecter utilizzerà per accedere nei pensieri rimossi dell’infanzia di Clarice, che scopriremo non facile, e ci sveleranno anche la natura del titolo. Con le musiche di Howard Shore e la fotografia del grande Fuijmoto, Clarice quasi accompagnata dallo psichiatra cannibale affronta i fantasmi del passato per riabbracciare se stessa e fermare Buffalo Bill. Riuscirà questo rapporto sempre più intimo a far si che l’agente Sterling catturi il maniaco che nel frattempo ha rapito la figlia di un importante senatore? Vi invitiamo a scoprirlo vedendo il film. In capolavoro senza tempo. Con un finale aperto che ci dice ancora una volta che la mente è un luogo inesplorato di cui possiamo non essere consapevoli ma che ci appartiene.
Un film unico, con tre sequel non all’altezza. Uno invece da riscoprire assolutamente Manhunter-Frammenti di un omicidio, 1985 di Michael Mann. Perché basta seguire le cronache di questi giorni il vero male, la vera follia si trovano fuori dalle sale cinematografiche.
Buona visione
Condividi: