Bene/male. Luce/buio. Gioia/dolore. Solitudine/compagnia. Ci hai mai pensato che questi opposti convivono dialetticamente? Che senza luce non esisterebbe il buio e senza il dolore non esisterebbe gioia? Ebbene si, «la realtà è una sintesi di opposti».

Gli opposti stanno ovunque: in natura, nella società, in una categoria, in un ordine. Un ordine, per entrare all’interno del quale si fa un giuramento “secondo scienza e coscienza”. Si giura di curare ed assistere gli ammalati, in ogni circostanza e situazione. Sempre.

Anche all’interno di questo ordine convivono gli opposti: gli Eroi che coscientemente operano secondo giuramento e i Don Abbondio che, tradendo il giuramento, si barricano nelle loro fortezze intoccabili.

Anche solitudine e compagnia sono due opposti e sono intimamente collegati dalla successione diacronica che inevitabilmente li ordina. Nasciamo soli e moriamo soli. Ma in itinere, chi è più fortunato, vive una vita più o meno spensierata in compagnia, circondato dagli affetti genitoriali e più avanti da quelli amichevoli e amorevoli. Accade a molti, ahimè, troppo spesso, che questi opposti si invertono, rapidamente. Come una moneta che sembrava voler mostrare “testa”, fino a due millimetri da terra, e impercettibilmente gira e mostra “croce”. Lasciando un senso di vertigine fastidioso e doloroso.

Comincia così il dolore di Antonio, con il capovolgimento troppo rapido di una moneta, la sua.

Antonio è un uomo sereno: ha una vita tranquilla, un lavoro soddisfacente e due genitori che lo amano. È figlio d’arte, cresce tra piedi di ferro, lesine e passione, nella bottega di papà Sebastiano che di professione fa u scarparu. Insieme al padre progettano, costruiscono, sognano.

Fino a quando un giorno mamma Vincenza si ammala, colpita da una paralisi. Paralisi che non immobilizza solo lei ma anche i sogni del figlio e del marito che a poco a poco si ridimensionano ma non si arrestano del tutto.

Antonio si prende cura di mamma Vincenza, lo fa con amore e dedizione, memore del fatto che la mamma è colei che ti da la vita, il primo e vero amore e l’unica certezza in un mondo incerto.

Ogni mattina la porta a fare colazione, il bar vicino casa è tappa fissa. La coccola, la vizia. I sorrisi della sua Vincenzina sono la ricompensa più grande per lui.

Passano così quattro anni. È marzo del 2020, i telegiornali parlano già da un mese di una strana infezione, arrivata in Italia, che colpisce l’apparato respiratorio: la chiamano Covid-19.

Papà Sebastiano comincia a tossire, la sua temperatura corporea sale, il fiato si accorcia, si affanna. Antonio, preoccupato, chiede aiuto. Il suo urlo disperato sembra vano, nessuno risponde se non sottovalutando la situazione: «È solo un’influenza, passerà!». 7 giorni di agonia prima che papà Sebastiano esali l’ultimo respiro. L’ultimo respiro di Sebastiano, non fa rumore, è silenzioso. In fondo, non si grida ancora al Covid-19 come il male del secolo e lui è solo un anziano, un anziano che senza dubbio, prima o poi avrebbe dovuto dare la sua dipartita. Ma la sua dipartita è stata forzata prematuramente dal silenzio.

Mamma Vincenza, nel frattempo si ammala e si ammala anche lui, Antonio.

Poco meno di un mese dopo, Sebastiano e Vincenzina si riabbracceranno. Il loro abbraccio sarà eterno. Vincenzina lascerà l’ospedale dove rimarrà ricoverata per quasi un mese, anche lei, silenziosamente. Si staccherà da questa vita come una foglia dalla chioma folta di un albero. Che rumore fa una foglia? Chi si accorge che una foglia si è staccata da quell’albero? Ce ne sono così tante di foglie nell’albero! Ma Vincenza non è una foglia.

I due vecchietti che si sono tanto amati ormai non sono più, nella loro casa, però, rimane l’amore ma anche il dolore di un figlio che si ritrova solo, privato dei suoi affetti più cari. Sperimenta quell’opposto tanto temuto: la solitudine. Lo sperimenta nella disperazione, nella malattia che si fa culla e aguzzino della sua vita. Una via d’uscita sembra non esserci. Antonio sta male. Il Covid lo ammorba ma un tarlo più pericoloso si annida dentro di lui, nella sua mente.

Le poche persone rimastegli accanto gli consigliano un ricovero in ospedale, e lui che prima lo ha tanto temuto, preso dal panico, pensa che forse è la soluzione a tutti i suoi mali.

In quei giorni negli ospedali di tutta Italia è il delirio, i reparti sono pieni e la morte continua a falciare vite.

Antonio è pronto, ha già chiamato l’autoambulanza che lo porterà verso il suo destino.

«Non andare»

Ad un tratto quella voce, così familiare, così calda. È la voce di papà Sebastiano.

Antonio si arresta. Manda indietro l’autoambulanza, decide di restare, di lottare contro il nemico invisibile, credendo di poter ricevere ausilio e conforto da casa. I giorni passano, la malattia non cessa, Antonio fa un primo tampone, poi ne fa un secondo ma non riceve esito. Chiama, richiama. Il telefono squilla, nessuno risponde se non una tantum per dargli false speranze : «Passeremo presto da lei per un controllo» «Le faremo a giorni un altro tampone» «Le daremo presto l’esito»

Ma nessuno busserà alla sua porta, il suo telefono non squillerà. Fino a quando un giorno decide di contattare un suo vecchio amico. Rende nota la notizia del suo abbandono. Fa rumore. La notizia fa rumore. Non Antonio. Improvvisamente gli arrivano chiamate di cordoglio, di circostanza. Viene rassicurato del fatto che da quel momento non sarebbe più rimasto solo e scopre che l’esito dei suoi tamponi era andato perduto. Lui non si arrende, continua a correre in questo tunnel buio dove non si intravede neanche uno spiraglio di luce, guidato dalla speranza.

Finalmente, dopo un mese di malattia riesce a intravederla quella luce. Antonio guarisce, grazie alle cure dategli, a distanza, da un Eroe con la mascherina.

Non è consapevole ma quel momento è per lui morte e rinascita. Passerà tempo prima che Antonio guarisca, attraverso una catarsi lenta.

La sorte di Antonio è comune: siamo tutti dei Mattia Pascal, moriamo nel dolore e risorgiamo dalle nostre ceneri come un’intramontabile fenice.

E la risurrezione non è forse un passaggio dalla morte alla vita?

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