IL CULTO TRADIZIONALE DI SAN GIUSEPPE NEL SIRACUSANO

Il culto di san Giuseppe ha radici antichissime. La chiesa orientale inizia a menzionarlo già dal iv sec., mentre in occidente la sua venerazione si sviluppa intorno all’anno mille. Il popolo ha sempre avuto caro questo grande santo sia perché patrono dei lavoratori, in particolar modo di coloro che lavorano il legno, ma soprattutto perché “patri ra pruvvirenza”, provvido intercessore nelle cause impossibili, nei casi di necessità e povertà.

Anche nella nostra arcidiocesi sono tante le manifestazioni di culto e folklore che esprimono la profonda devozione del popolo nei confronti di san Giuseppe. Basti pensare che Cassaro, che lo festeggia ogni tre anni a luglio, e la frazione di Cassibile lo hanno scelto come patrono. Ma non solo.

La stessa città di Siracusa, anni addietro, soleva celebrare il Patriarca con l’accensione di grandi falò, i fucati o vampi, bruciando il legno delle barche vecchie, come segno propiziatorio per l’attività ittica, tradizione oggi caduta in disuso.

Se ci spostiamo fra i comuni tante sono le manifestazioni folkloristiche legate al santo: Lentini, Sortino, Francofonte, Augusta, Carlentini, Melilli, Canicattini Bagni hanno tutti una tradizione consolidata nel celebrare il santo Patriarca.

La più comune manifestazione di devozione che abbraccia la maggior parte dei paesi citati è l’offerta e la vendita all’asta dei doni il cui ricavato va in beneficenza. All’asta vengono portati doni di vario tipo, ma soprattutto prodotti locali: bestiame, dolci come la pagnuccata, la verdura, soprattutto asparagi e il pane, u cudduruni i sangiuseppi o il bastone di san Giuseppe, una treccia di pane a forma di bastone, spesso ornati dal valicu, la violacciocca, fiore tradizionalmente legato al Patriarca.

Fra le manifestazioni più caratteristiche possiamo citare Francofonte, dove due giorni prima della festa del 19 marzo, si soleva estrarre tra i bisognosi della città un uomo anziano, una donna e un bambino che impersonassero la Sacra Famiglia e gli si offriva un lauto pranzo.

A Carlentini la “Sacra Famiglia” vivente viene fatta sfilare, accompagnata dai carretti siciliani addobbati, il lunedì di Pasqua, giorno che, tradizionalmente per il carlentinese, è dedicato a san Giuseppe.

A Lentini si appronta l’esposizione di 99 piatti tipici locali, 33 per ogni portata, e qui la Sacra Famiglia vivente viene fatta pranzare su di un palco rivestito di fiori.

A Melilli, invece, si è sviluppata e ampliata la tradizionale minestra di san Giuseppe, u maccu, che i volontari preparano, mettendo a cuocere insieme vari legumi e verdure in onore al santo e che viene poi donata ai fedeli devoti e alle persone bisognose.

A Sortino la parrocchia del nuovo quartiere di espansione urbanistica festeggia “san Giuseppe lavoratore” il primo maggio.

Il fil rouge, insomma, che lega tutte queste manifestazioni devozionali popolari è l’attenzione al povero, il farsi provvidenza per chi ha bisogno, la solidarietà con chi ha poco o niente. Per questo motivo si è riscoperta nell’ottocento, anche nella nostra diocesi, la figura di questo grande santo: per venire incontro fattivamente ai tanti casi di povertà presenti nelle città. San Giuseppe è, infatti, invocato come padre della provvidenza e ancora oggi continua a scaldare i cuori, spronando tutti alla carità nei confronti di chi manca del necessario.

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