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Grotta dei Cordari: luci, suoni e danza fanno rivivere il mito di Aretusa

Grotta dei Cordari: luci, suoni e danza fanno rivivere il mito di Aretusa

Dal 17 luglio fino al 28 agosto, tutti i giorni dalle 20:30 alle 22:30, il mito di Aretusa, in una veste straordinaria, contemporanea ed evocativa prende vita con 5 spettacoli itineranti tra la Grotta dei Cordari, la grotta del Salnitro e l’Orecchio di Dionisio: unendo teatro, musica, danza e animazioni 3D.

Prodotto da Momento e con la regia di Guglielmo Ferro, due i cast impegnati nello spettacolo che si alterneranno nel corso delle repliche: Francesca Ferro (Artemide), Nadia De Luca (Artemide), Mario Opinato (Fauno), Verdiana Barbagallo (Aretusa), Virginia Penna (Aretusa), Rosario Marco Amato (Fauno), Rosario Minardi e Giampaolo Romania (Filosseno). Il pubblico viene accolto dalla presenza possente del dio Pan, divinità non olimpica dall’aspetto di un satiro legata alle selve e alla natura. Pan è un dio con una forte connotazione sessuale moltissimi racconti mitologici ci parlano di questo dio e del suo rapporto con le Ninfe che cercava di possedere. Tanto che queste si salvavano solo trasformandosi, anche se spesso non disdegnavano le attenzioni del dio. “Ogni saggezza è vana solo il cuore ha ragione. Dolci ninfe meravigliose, tutto ciò che ruota intorno è un gioco d’amore ma attenzione non illudetevi dietro c’è la rabbia della mia continua caccia, loro si nascondono per farsi cercare, io sono un donatore di seme, di piacere ma anche di nubi mi piace la notte entrare nei sogni degli uomini e con i miei versi animaleschi mi piace terrificarli così per diletto di scherno. La passione incontenibile, lei Aretusa e del suo amore racconta in eterno le gesta, proseguite miei visitatori, andate…” Nel secondo momento entriamo nel cuore della grotta dei Cordari dove restiamo ammaliati dal gioco di luce in 3D e dalle musiche soavi. Lì vediamo distese sull’acqua la dea della caccia Artemide e la ninfa Aretusa, la quale supplica aiuto alla dea per poter sfuggire al desiderio incontrollabile di Alfeo. Artemide racconta: “E’ fragile, indifesa ed Alfeo pazzo d’amore le corre dietro per i boschi, è estenuante la caccia e logorante, la fuga dura un giorno intero e in più la paura assedia l’animo di Aretusa più l’istinto predatore accende l’animo di Alfeo, non vede altro che quel corpo immacolato che fugge e la distanza si riduce; Alfeo vuole Aretusa per sempre.

La mia mano tesa su di lei– continua Artemide- e la mia volontà si compì, la trasformai fonte fluida e inafferrabile. In quel bozzolo tutto divenne vapore acqueo dissolto il corpo di Aretusa. Non si fermò la sua disperata ricerca- riferendosi ad Alfeo- e anche la sua richiesta d’aiuto squarciò il cielo e fu così vera e profonda che raggiunge il re degli dei; fu Zeus che riconosciuta la sincerità di quel sentimento sconvolgente aiutò Alfeo lo trasformò in fiume e lo fece scorrere potente infinito fino a Siracusa. Lo Ionio fu sconvolto da onde spettacolari che toccarono il cielo e che si distesero prostrate dinanzi ad Ortigia, nel momento in cui sotto la superficie, un flusso pieno e vigoroso penetrò la fonte, le loro acque si mischiarono in un tumulto morbido che rimase a lungo visibile agli occhi degli dei e degli uomini poi tutto si quietò come un getto d’amore eterno dentro la fonte Aretusa”.

Nel terzo ed ultimo momento dello spettacolo il pubblico si sposta dentro l’Orecchio di Dionisio dove viene accolto da Filosseno di Citera poeta ditirambico greco antico, rinchiuso nelle latomie per aver espresso giudizi severi sui tentativi poetici del tiranno Dionigi. “Luogo ingannevole, una prigione per il corpo e per l’anima. Le strade, le case, costruzione di vita quotidiana chiamate Latomie del Paradiso sono in realtà un luogo di morte, ingannevoli le loro forme morbide e attraente come corpi di donne, dove si spaccavano le mani i lavoratori, ingannevole la loro voce che qui risuona cento, cento volte più alta che altrove e tradiva gli uomini che cospiravano per scappare dalla prigionia. Venivano i superstiti ateniesi durante la loro spedizione in Sicilia; politici, filosofi, intellettuali, gente innocente. Al buio sento ancora i loro cadaveri muoversi sotto il manto erboso, poi quando scende la luce anche un misero raggio mattutino allora il mio animo si quieta, ricomincia a sussurrare i miei versi. Questa grotta è la mia prigione; il mio carceriere, il tiranno Dionigi di Siracusa, ci manipolava, ci minacciava, mi usava; l’arte è tanto ingannevole da indurre un uomo da considerarsi un poeta, può la poesia uccidere come la spada oh si può quando rende il tiranno preda di follia, ingannevole sono le idee. Con il passare del tempo Dionigi credette di dover tener testa per componimenti e versi ai più grandi scrittori e filosofi dalla Grecia alla Sicilia in ogni simposio si leggevano le tragedie di Dionigi e ad ogni suo fallimento si scatenava la sua furia ; il tiranno era impazzito. Non ci fu più libertà, io Filosseno non potevo per cui disgustato mi armai di verità e difesi la mia arte”.

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