“La tuta di un meccanico che svolge con impegno e passione il proprio lavoro ha la stessa dignità del camice bianco che indossa un luminare della medicina”. Così parlò Nello Musumeci, presidente della Regione Sicilia, nel corso del suo intervento alla cerimonia ufficiale di inaugurazione dell’anno scolastico 2021/2022 svoltasi pochi giorni fa a Siracusa. Un discorso, quello del presidente della Regione, imperniato sul ruolo e sul valore della scuola e dell’istruzione più in generale nel corso del quale, rivolgendosi agli studenti che lo ascoltavano, ha più volte insistito su di un tasto: gli studi universitari, il conseguimento della laurea, non devono essere considerati una meta da inseguire ad ogni costo. Insomma, chi per scelta (ma come la mettiamo con chi dovrebbe fare buon viso a cattiva sorte, considerato quanto costa mediamente oggi un corso universitario?) o per altro motivo chiudesse la propria esperienza scolastica con il conseguimento del diploma non dovrebbe lasciarsi prendere dai sensi di colpa e magari provare a entrare al più presto nel mondo del lavoro.

Già, ma quale lavoro? Quello più qualificato richiede, di solito, proprio il titolo accademico. E ciò accade non soltanto in Italia ma anche in quel “mercato” tanto grande quanto, nei fatti, poco… unico rappresentato dall’Unione Europea nel quale persistono ancora profonde differenze (a cominciare da quelle salariali ma anche legate alle concrete possibilità di accesso). Quella stessa Europa nella quale noi italiani siamo al penultimo posto (dati Eurostat dello scorso giugno) per percentuale di laureati nella fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni con una quota di appena il 29%. Peggio di noi riesce a fare soltanto la Romania che si ferma al 25%Secondo la stessa rilevazione complessivamente nel 2020 il 41% della popolazione di età compresa tra 25 e 34 anni aveva completato l’istruzione universitaria nell’UE (l’Italia è dunque ben dodici punti percentuali sotto la media dell’Unione Europea). Analizzando un po’ più da vicino il dato UE la quota delle laureate (46%) è risultata decisamente superiore a quella degli uomini (35%).

Ok, coi laureati non è andata granché bene. Ci rifacciamo con i diplomati? Manco per sogno. Penultimi eravamo tra i laureati e… penultimi rimaniamo anche tra i diplomati anche se in questo caso i dati di rifermento sono quelli del 2019, la fascia di età di si amplia considerevolmente rispetto al caso precedente (adesso diventa25-64 anni) e cambia la nazione che ci segue in questa poco edificante graduatoria: non più la Romania bensì la Spagna. Secondo il sito specializzato italiandati.com la quota di 25-64enni in possesso di almeno un diploma è pari a circa il 62,2% (61,7% nel 2018) a fronte di una media europea pari a circa il 78,7%.

Insomma, non siamo messi proprio bene nemmeno a diplomati.

In un mondo che si professionalizza sempre di più, che si specializza, che privilegia competenze, lo stesso obbligo di formazione (o di istruzione) che nel nostro Paese è di dieci anni consecutivi, a partire dai sei anni, per concludersi, ai sedici anni, appare anacronistico. E così, mentre il censimento Istat del 2019 evidenziava che praticamente la metà degli italiani aveva come titolo di studio massimo la licenza media, in Parlamento le proposte di legge avanzate per innalzare l’obbligo formativo sino al conseguimento del diploma di istruzione secondario non riuscivano nemmeno a finire nell’agenda dei lavori d’Aula. Eppure, come ha anche osservato Roberto Natale, ex presidente della federazione Nazionale della Stampa Italiana e già portavoce dell’ex presidente della Camera Laura Boldrini, intervenendo alla chiusura del corso di alta formazione dell’Università di Padova “La passione per la verità” l’occasione che si avrebbe adesso con l’imminente arrivo dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza per mettere mano a un massiccio programma in questa direzione sembrerebbe essere più unica che rara.

Problema nel problema (ma se si vuole ragionare in termini positivi, opportunità nell’opportunità) è poi quello rappresentato dalla ormai improcrastinabile alfabetizzazione digitale di larga parte del Paese. Un obiettivo che senza avere alle fondamenta una cultura generale solida e affidabile sarebbe difficile da raggiungere. Perché qui non si tratterebbe di essere capaci di smanettare sulla tastiera del pc, ma di capire quali straordinarie opportunità si aprono a noi se soltanto sapessimo effettivamente utilizzare al meglio le opportunità che queste macchine ci offrono. Macchine, vale la pena di ricordare e sottolineare, create dall’ingegno e dalle competenze dell’uomo. Macchine oggi già capaci di far muovere un bisturi in sala operatoria a Siracusa sotto il governo di un medico che opera da Baltimora, macchine capaci di dare risposta in tempo reale a uno specifico quesito di un autoriparatore a Siracusa attingendo alle informazioni contenute nelle banche-dati di settore ed elaborate dall’intelligenza artificiale adattandole alla specifica esigenza.

Ma sia il medico che il meccanico per operare non potranno non avere tutte quelle competenze che una formazione universitaria (con tanto da rivedere, è vero: ma questo è un altro discorso) sa assicurare. Soltanto in questo modo quella tuta da meccanico e quel camice da medico avranno nella considerazione collettiva e nella valutazione degli altri davvero la medesima dignità.  Cosa che oggi, purtroppo, non accade ancora.

[*] Ex Post (nel senso che volevo scrivere un post ma è venuto troppo lungo…)

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