Titolo della settimana: Non si sevizia un paperino, Lucio Fulci 1972.

Soltanto oggi si è scoperta appieno l’importanza del cinema del dott. Lucio Fulci, che dopo aver abbandonato gli studi di medicina – dove si era iscritto per accontentare la madre siciliana dal carattere forte – si laureò in lettere e filosofia.

Soprannominato il terrorista dei generi, sottovalutato da quella parte di pseudo critica che all’epoca sminuiva un uomo fuori dagli schemi (anche se che in America e in Francia è stato amato sin da subito) e ciononostante  grazie a Quentin Tarantino molti suoi lavori sono stati salvati e restaurati e hanno rivisto la luce della sala.

Tra le pellicole più apprezzate del dottore, la mia preferita, vi è questo titolo chiave del giallo all’italiana, genere del quale, bisogna ammetterlo, Dario Argento ha contribuito in maniera determinante alla sua affermazione a livello internazionale. Senza dimenticare maestri come Bava, Margheriti e altri, oltre anche Pupi Avati. Per omaggiare questa scintillante stagione italica abbiamo scelto Non si sevizia un paperino, già dal titolo provocatorio, tanto che la Disney fece pressioni affinché nel titolo si aggiungesse “un“.

Il dottore prende spunto da un fatto di cronaca avvenuto un anno prima a Bitonto, Puglia, dove nello spazio di pochi mesi cinque bambini vennero trovati senza vita in un pozzo. Affidando a un giornalista di cronaca del nord in vacanza, Tomas Milian-Andrea Martelli e a una donna dal passato ambiguo e un presente tormentato Barbara Bouchet-Patrizia, il compito di indagare sul l’uccisione di tre bambini ad Accendura. Un paese fittizio del profondo sud, tra Basilicata, Abruzzo e Molise, luoghi poco frequentati dal cinema nostrano, con le sue realtà tra nuovo ordine contro il vecchio mondo rurale e contadino, arcaico denso di superstizioni e dicerie: un paese che il triplice delitto scuote fin dalle fondamenta, dando il via a indagini tortuose seguite da altri avvenimenti inquietanti, durante i quali sia l’opinione pubblica che magistratura e forze di polizia si dimostrano impotenti, la verità sarà sorprendente.

Come sorprendente è tutto il film, che parte un po’  confuso, ma quando imbocca la direzione giusta fila dritto e appassiona lo spettatore, che si trova davanti a qualcosa che raramente ha visto, e proprio qui si nota la mano del regista, il quale conosce molto bene i meccanismi della tensione e inoltre, altra nota di merito, si discosta da Argento con ambientazioni opposte e personali mai viste prima. Il dottore con il genere riesce a fare critica sociale a 360 gradi, con le tematiche care al suo cinema: religione, sessualità, violenza. In Non si sevizia un paperino la magia e la superstizione hanno un ruolo centrale, perché ogni avvenimento deve avere un capro espiatorio, soprattutto in paesi degli anni 70 ancora soltanto sfiorati dal progresso, con le autostrade in costruzione e la campagna che fa da sfondo e dove si annida il falso perbenismo e dove i  primi ad essere accusati sono lo scemo del paese e una donna, che tutti credono una strega e chiamano La maciara (una splendida Florinda Bolkan), protagonista di una delle scene più belle del decennio con in sottofondo le note provenienti da una radio di Quei giorni insieme a te cantata da Ornella Vanoni. La stessa Patrizia, figlia di papà, ricca e provocante, quindi diversa, entra nella lista dei sospetti, anche lei protagonista di una scena che all’epoca ebbe problemi con la censura, che Fulci in tribunale dimostrò essere un trucco.

Film unico nel panorama mondiale, massacrato alla sua uscita per l’attacco alle istituzioni ecclesiastiche, dove anche il prete del paesino (Porel)e la madre (Irene Papas, sontuosa )nascondono qualcosa. Un film che parla della sofferenza degli emarginati, di pedofilia e di gente che gira la testa per non aiutare chi è in difficoltà. Per il dottor Fulci la provincia è un covo di pregiudizi nei confronti del diverso che non ha la forza di difendersi e dove si rischia di uccidere il futuro, i bambini appunto. “Abbiamo costruito le autostrade ma non siamo riusciti a vincere l’ignoranza ” sentenzia un affranto maresciallo dei carabinieri di fronte all’ennesimo fatto di violenza. Cast formidabile con il trio Bolkan-Bouchet-Papas, Marc Porel e un Tomas Milian inedito e ben calato nella parte. Fotografia ottima come le musiche del maestro  Riz Ortolani. Erano gli anni 70 e il cinema italiano dei generi non temeva nessuna produzione al mondo. Fulci immenso

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