La proposta dell’amministrazione apre il dibattito su chi siamo e cosa vogliamo essere. Il forum di Cammino con, Paolo Giansiracusa, don Rosario Lo Bello e Elio Tocco

Gli antichi fasti della Magna Grecia, Archimede, Platone, santa Lucia, Vittorini, l’Inda, l’Unesco… Siracusa ha tutte le carte in regola per essere capitale italiana (e non solo italiana) della cultura (e non solo nel 2024). Ci sono segni e tracce di un grande passato che possono assolutamente orientare l’uomo e il turista contemporaneo nel suo cammino. Ma i siracusani? Sono testimoni autentici dell’eredità che custodiscono? Sono, siamo portatori di cultura nella città e nel mondo? Riusciamo a proporre un’offerta ragionata, stimolante e utile come comunità? E soprattutto, siamo capaci di rendere ancora vive e appassionanti le pietre della nostra storia, fondamenta su cui costruire il nostro futuro? Tante domande, tanti pungoli per riflettere insieme su una proposta lanciata dall’amministrazione comunale che al di là del risultato che potrà ottenere ha un merito: aprire il dibattito su chi siamo e su chi vogliamo essere. Cosa rappresenta Siracusa oggi e cosa immagina di rappresentare nel futuro. Ripensare alle occasioni sprecate, ai tanti convegni promossi in questi anni e alle poche iniziative concrete compiute. Per capire cosa è rimasto dell’antica capitale della Magna Grecia e che ora è sì un’ambita meta turistica, ma periferia dell’Europa e con un’economia agonizzante da cui i giovani tristemente si allontanano per crescere in bel altri lidi. Forse meno belli, ma dove c’è più benessere.

Giansiracusa: «A nulla può essere candidata una città che non sappia riconoscere l’identità che la caratterizza»

Siracusa capitale, una nuova medaglia o un’opportunità, dunque? Cammino riflette a voce alta e lancia queste provocazioni in un forum con tre autorevoli figure della società civile e religiosa: lo storico dell’arte Paolo Giansiracusa, don Rosario Lo Bello e il filosofo Elio tocco . «Direi che Siracusa abbia già molte medaglie al petto, tutte inspiegabilmente appannate – esordisce Giansiracusa -. Siracusa non ha bisogno di una nuova medaglia ma di un ruolo strategico nel Mediterraneo. La città è nata per il suo mare e per i suoi porti senza la cui valorizzazione è destinata a rimanere nel cono d’ombra di una crisi che non è solo economica ma anche sociale, culturale. Siracusa deve riscoprire la sua vera identità che non è industriale o commerciale ma agricola, artigianale, marinara. A nulla può essere candidata una città che non sappia riconoscere l’identità che la caratterizza». «Cominciamo dal dire che sarebbe una diminutio – afferma Tocco – considerato che Siracusa è già stata capitale di ben altri imperi, campione della grecità d’Occidente contro la barbarie punica… Dobbiamo vivere sugli allori? E perché no? L’importante è non assediare i ricordi e il passato con le brutture del presente. Per questo, rispetto alla proposta lanciata, non sono né critico né entusiasta. La vedo con distacco. Non è questo che cambierà le sorti della nostra città, segnata dall’individualismo, da mille vitalità inespresse. Basti pensare alle scrittrici straordinarie che ci sono e restano nell’ombra. Occasioni come queste vanno bene in contesti che funzionano, dove c’è una tradizione di buon governo. Va bene per Parma, che dai tempi pre-unitari si distingue per una sana gestione del patrimonio… Noi abbiamo un’eredità di pessimo governo. Abbiamo guardato sempre allo Stato come un nemico, come altro da me. Non c’è una dimensione collettiva, il senso della civitas, della polis. Io tengo pulitissima la mia casa, ma se fuori è sporco può restare così, perché non appartiene a nessuno». «È legittimo che i nostri amministratori puntino a fare di Siracusa la capitale italiana della cultura – si inserisce don Rosario, che guida la parrocchia di San Paolo Apostolo nel quartiere della Graziella in Ortigia dove sta svolgendo una intensa attività pastorale e sociale impegnandosi con i suoi parrocchiani per il recupero dei ragazzi e la riaffermazione degli spazi pubblici, come ha evidenziato anche un articolo su “Vatican News – L’Osservatore romano”. Proprio con loro don Rosario ha incontrato il Santo Padre nei mesi scorsi. «A proposito di cultura il Papa ci ha lasciato un messaggio che voglio condividere con i lettori: “Il grado di civiltà di una comunità non si misura a partire dalle performance compiute dalle sue élite, ma dai risultati raggiunti dagli strati più fragili”. È un grande insegnamento per realtà come le nostre in cui non mancano gli eventi e i circoli culturali e siamo circondati da un patrimonio eccezionale. Ma se c’è l’11% di abbandono scolastico, serve a poco. È questo il problema più importante. Come la mancanza di lavoro e di prospettive per i giovani».

Lo Bello: «Con un tasso di abbandono scolastico dell’11%, serve a poco. È questo il problema più importante»

Così Siracusa vive il paradosso: una bellezza che abbaglia e affascina chi arriva in città e si lascia conquistare dalle sue suggestioni, ma che non riesce a garantire sviluppo a chi questa terra la abita. Se non a fasce limitate di popolazione. La bellezza non abbaglia i disagiati (che la Pandemia ha visto crescere, come hanno evidenziato i numeri della Caritas sui nuovi poveri) e non ferma la fuga inesorabile dei giovani. «Su questi argomenti si potrebbe stilare il programma delle future amministrazioni cittadine e regionali – riprende Giansiracusa -. Ho lavorato per 40 anni nella ricerca e la formazione universitaria e ho dovuto assistere con tristezza alla fuga dei giovani laureati verso il nord dell’Europa o l’America. Centinaia, migliaia, di giovani talenti hanno lasciato la Sicilia e oggi sono professionisti affermati nel mondo. Qui per loro non c’era nulla e continua a non esserci nulla perché si è puntato a sistemi produttivi impropri, estranei alle peculiarità del territorio. Si pensi al petrolchimico, in crisi da quasi vent’anni e in procinto di chiudere i battenti. Quale era la nostra attitudine nel settore industriale? Nessuna. Abbiamo accettato le raffinerie perché questa era l’unica opportunità che veniva offerta alle zone depresse. Adesso che il sistema energetico si rimodula a livello mondiale, il vastissimo polo industriale che occupa ampi territori dei comuni di Augusta, Melilli, Siracusa, Priolo, è destinato a chiudere e non ci sono progetti che lascino immaginare la riconversione. Il polo è servito a due generazioni, il mare per il quale la città è nata avrebbe invece dato garanzie occupazionali per tutto il terzo millennio. Abbiamo sbagliato a investire e ci siamo dimenticati di ciò che potevamo utilizzare a costo zero senza avvelenare la terra. Perché Siracusa, come città di mare, non ha le sue linee di navigazione per Malta, per Tunisi, per il Pireo, per Istanbul, per Barcellona? Perché Siracusa, al centro del Mediterraneo, non comunica con i grandi porti del mare nostrum?». Anche Don Rosario richiama l’attenzione sul sogno industriale e la nuova scommessa sul turismo. «Sogni effimeri se non si traducono in valori sostanziali. Progetti che servono a garantire l’esistente, non certo a costruire il futuro di una società migliore». Don Rosario cita un lavoro di Luca Ruggiero e Olivella Rizza che nell’analizzare il declino del petrolchimico evidenzia «come nel tempo ha aumentato la ricchezza a Siracusa, ma è stata una ricchezza rimasta nelle mani dei dirigenti, ha dato lavoro, ma non ha creato occasioni di crescita e di cultura. Pensiamo solo all’università. Non ha realizzato lo “studium”, il laboratorio delle idee e del pensiero». E oggi che il petrolchimico dopo avere stravolto il paesaggio lentamente implode, Siracusa punta – giustamente – sul turismo, con l’immagine di città antica. «Ma lo fa tardi. E si ripetono gli stessi errori – continua il sacerdote di frontiera -. Investimenti da fuori e poca attenzione ai processi di sviluppo e alle conseguenze. Così a Ortigia ci sono ricchi che percepiscono bonus per comprare, ristrutturare e fare business e poveri che non ce la fanno, mentre l’isola si spopola e perde la sua anima. Ridotta a un luna park senza tessuto sociale. Se usciamo da Ortigia la città si è sviluppata secondo logiche poco culturali, se guardiamo Viale Teracati, la Pizzuta, le Catacombe di San Giovanni circondate da palazzi orrendi. C’è lo strumento del piano paesaggistico, cosa si pensa di fare? C’è una città da rimettere in sesto».

Tocco: «Un insieme di tromboni non è un’orchestra. Noi siamo così: ognuno pensa al suo, mentre la città muore»

Forse il turista non si accorge di questo disagio, di queste storture, forse lo trova quasi folkloristico. Ma per i cittadini? «C’è una differenza enorme se guardiamo la realtà con gli occhiali del turista o se la guardiamo invece con quelli del residente – evidenzia Tocco -. Se nel primo caso si è conquistati dalla bellezza e anche dal folklore che caratterizza certe visioni e persino i disservizi, come la conferma di vecchi stereotipi, quando si inforcano gli occhiali del residente non c’è possibilità di salvezza: la bellezza non la guardi più, perché è lì, e ti interessa la vita che c’è in quella bellezza, interessano i servizi, lo stile di vita. E noi invece per lo stile di vita siamo in fondo alle classifiche nazionali e quindi europee. I nostri ragazzi continuano ad andare via, il tessuto imprenditoriale non c’è e quello che c’è soffre». Che fare? «Niente – ammette Tocco, con quella serenità che appartiene a chi ha una certa età e “dimentica” le battaglie di gioventù -. C’è una componente ineluttabile: e ciò che non puoi cambiare lo devi accettare. È il destino di questa terra. Il fato è ineludibile. Come nell’Edipo. Qualunque cosa fai, non fai che avallarne il corso. È il fato che vince. È più saggio accettare che combattere. Alla mia età la vedo così. Il giovane ci prova anche se poi rimane scontento, arrabbiato, pieno di risentimento e alla fine se ne va. Vince questa società e gli individualismi che la rappresentano. Ma se usiamo la metafora musicale, diciamo che un insieme di tromboni non è una banda, figuriamoci un’orchestra. Noi siamo così. Ognuno pensa al suo, mentre la città muore. Paguri nelle proprie conchiglie».

Parole dure, taglienti. Che ricordano l’«irredimibilità» di Sciascia. Siracusa può essere Capitale. Per un anno. Ma rischia di esserlo senza “capitale”. Quello che conta di più, il capitale umano e culturale.  Che invece è potenzialmente «vastissimo – prova a concludere, lasciando un appiglio di speranza Giansiracusa -, tutto nascosto nei cassetti del dimenticatoio. La forsennata politica che da oltre un ventennio tende a cacciare i residenti e le funzioni civili dal centro storico ha svuotato l’architettura, le piazze le strade dai valori che ne caratterizzavano il ruolo. L’aspetto è quello di un grande ristorante a cielo aperto che senza soluzione di continuità invade Ortigia, persino negli angoli più impensati. Che tutto ciò non funzioni si evince dal fatto che nessuno sollecita la riapertura (chiusa da 40 anni) della Chiesa del Collegio dei Gesuiti, che nessuno conosca le chiesette medievali di San Martino, di San Pietro o di San Giovannello, che i visitatori giornalieri del Museo di Palazzo Bellomo si contano sulle dita delle mani, eppure c’è un prezioso dipinto di Antonello da Messina. Come mai? Perché? Forse quell’intasamento impressionante non è a servizio della cultura, non reclama eventi culturali? Si tratta quasi esclusivamente di un’ondata turistica senza spessore culturale che, con una intelligente pianificazione, potrebbe essere spalmata su tutta la città e in particolare sul Quartiere Santa Lucia, altro centro storico del territorio cittadino.  Il capitale umano, quello culturale, quello delle istituzioni pubbliche e private (Università degli Studi, Istituto Nazionale del Dramma Antico, Musei Regionali e Locali, Scuole d’eccellenza come l’Istituto Superiore di Scienze Criminali) c’è tutto».

Non ci resta che sperare che questo capitale riemerga dagli abissi, trascinati in superficie da un eroe alla Maiorca. Che si creino le condizioni per il rientro delle tante eccedenze intellettuali e creative che nel tempo hanno lasciato la città. Recuperiamo il capitale, piuttosto che pensare a nuove medaglie. Lasciamo queste opportunità a realtà più piccole e anche marginali, come Procida, dove la “cultura non isola” e che da questi “riconoscimenti” può trarne davvero giovamento. Siracusa è già capitale. Basta ricordarsene sempre. Nell’agire di tutti i giorni. Nel buon governo. Nel pensare a una città vivibile e sostenibile. Aperta e inclusiva. Per i cittadini residenti e quelli temporanei del mondo che qui vorranno approdare per nutrirsi di una cultura autentica e incontrare una comunità felice. Il vero capitale.

 

  • Pubblicato sull’edizione tipografica di Cammino, richiedi la tua copia nell’edicola parrocchiale,
Condividi: