I versi dolci dell’eclissi secondo Pugliares
I poveri e i folli siano abilitati a osare
Non è la prima volta che ci occupiamo della produzione letteraria del poliedrico frate cappuccino siciliano Matteo Pugliares, classe 1972, che comprende un elenco, ormai cospicuo, di opere in prosa e poesia che si affiancano alla sua sempre più affermata attività pittorica, con sperimentazioni tese a evidenziare la sua personalità creativa, sotto la guida di maestri come De Cenzo e Alì, guadagnandosi visibilità non solo in Sicilia ma anche in altre città come Parma, Roma, Milano, Firenze e Svizzera.
Anche in questa raccolta, La dolcezza dell’eclissi, che sembra indicare un traguardo raggiunto da “incompresi” (p. 41), Pugliares continua in realtà quella che Enrico Campo, in Prefazione, definisce come la “pretesa” del poeta cappuccino e cioè: “raccogliere tutto ciò che si incontra durante la vita e trasformarlo in cibo esistenziale, operazione che caratterizza, del resto, ogni percorso spirituale degno di questo nome che coincide, senza alcun dubbio, con il percorso umano” (p. 5).
Scorrendo infatti le 65 composizioni, che formano questa silloge poetica, non è difficile concordare con l’analisi di Enrico Campo e cogliere l’interrogazione dell’Autore nelle diverse situazioni in cui la vita lo colloca e, soprattutto, nei vissuti che della condizione umana sono cifra e paradigma.
Matteo Pugliares mantiene viva tuttavia, in tutto il percorso narrato in questi versi, la consapevolezza di essere “medico di anime” e, proprio in forza della sua missione, si sente abilitato a voler portare “oltre le nuvole, / tra le stelle” (p. 10) i fratelli e le sorelle incontrati nel cammino, tra “Lacrime e Dio” (p. 11).
Infatti, tra fede e amore, in fondo asse portante delle poesie di Pugliares, si insinua, qua e là, il dubbio proprio dell’esperienza umana: “Morte e vita / e non riesco a capire” (p. 14), “A me non bastava… / e mi stupivo…” (p. 15) per non parlare del dolore, senza spiegazioni, di “Un figlio morto” (p. 22).
Il cuore del poeta “ha bisogno di pane (p. 21), cioè di amore, variante del “e raccattavo affetto” (p. 31), perché “Bruciavamo d’amore / per non essere colti / dal nulla insaziabile” (p. 25), in un “errare incessante” (p. 26), nella speranza sempre tenuta viva che “Domani sarà un nuovo giorno, / senza affanni e dolori, / ricco di pace / e i bambini, / poveri e innocenti, / saranno i giudici del mondo” (p. 27).
Il poeta non ha dubbi: “Agili e svolazzanti / i sogni dei bambini / che navigano tra gli oceani / e raccolgono rose sulle nuvole” (p. 39) come pure è convinto, e lo esprime a più riprese, che “Soltanto loro”, cioè i poveri e i folli, siano abilitati a osare, con coraggio, percorsi inesplorati e a “lanciarsi nel vuoto, / sicuri che un tenero abbraccio / li avrebbe accolti” (p. 40).
In fondo, solo attraverso l’esperienza della debolezza e della fragilità, l’Autore può assicurare il suo interlocutore racchiuso nel tu poetico: “Noi, incompresi, /avevamo raggiunto / la dolcezza dell’eclissi” (p. 41), traguardo che Pugliares ha voluto indicare fin dal titolo della sua raccolta.
Emblematici sono poi gli indizi autobiografici che ci aiutano a capire il poeta, “avido di serenità” (p. 34), la cui anima “origlia dietro le porte dell’infinito” (p. 35), “in questo eterno cammino / lastricato d’amore” (p. 44), dopo essersi incontrato con Dio e cibato di lui (cf. p. 42).
D’altra parte, il poeta ci confessa la sua sete di andare sempre oltre: “Mai in me / si chiudono le porte / su ulteriori mondi / ricchi di nuovo senso. / Io sono Ulisse, / non ho le tue false sicurezze / che sono solo stampelle” (p. 50), e non esita ad affermare che: “Avevamo ucciso noi stessi / tutte quelle volte che, / intruppati, / avevamo seguito l’onda delle pecore / che distrugge ogni scintilla di bene” (p. 53).
Rimando fin troppo evidente al dantesco: “fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e conoscenza (Inferno, XXVI, 118), come i versi “Ero ormai prossimo alla scoperta / di strutture geometriche” (p. 56), non può non richiamare i “Gesuiti euclidei” di Battiato, amico di Pugliares, che cerca “un centro di gravità permanente”!
Sembra proprio che Matteo Pugliares abbia trovato, nel più profondo di se stesso, questo “centro di gravità permanente”, seguendo l’ intuizione agostiniana di un Dio che è “interior intimo meo et superior summo meo” (Confessioni, III,6,11).
Lo deduciamo dalla poesia “Attraversavo i boschi”, ispirata al locus francescano dell’Eremo delle Carceri, in Assisi, in cui fra Matteo confessa: “Poi ti vidi, finalmente, / eri là da tanto tempo / e non mi ero mai accorto di te, / della tua dolce presenza, / della tua acqua che mi dissetava, / del tuo sguardo che mi trafisse il cuore.” (p. 58).
Questo ultimo verso di Matteo Pugliares ha una autorevole conferma letteraria in una espressione del filosofo e saggista rumeno Emil Cioran, dopo aver letto la poesia del poeta spagnolo Juan Ramòn Jiménez “Yo no soy yo”: “chiamo poesia ciò che trafigge il cuore come una lama”.
Come avviene leggendo i versi di questa silloge poetica di Pugliares di cui raccomandiamo vivamente la lettura, per l’arricchimento dello spirito.
- MATTEO PUGLIARES, La dolcezza dell’eclissi, GFE, Roma, 2023,
78 pp. brossura, EAN: 9791281164017 – € 10,00.
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