Il 1 settembre 2023 è iniziato il nuovo anno scolastico e in tutte le scuole si stanno svolgendo i primi Collegi docenti per riorganizzare/programmare le attività scolastiche degli studenti. Uno dei punti all’ordine del giorno del primo Collegio è, tradizionalmente, assegnazione docenti alle classi. Assegnare i docenti alle classi non è una pratica burocratica/amministrativa, ma una azione pedagogica perché prepara ed organizza le professionalità di ciascun docente all’incontro con le classi. Il binomio insegnamento/apprendimento, infatti, si avvale dell’incontro tra un team di docenti (consiglio di classe), che, essendo portatori di cultura e di valori educativi, rispondono ai bisogni di quelle specifiche classi in cui quegli studenti, con una combinazione casuale, la maggior parte delle classi prime si formano tramite un sorteggio, tenuto conti dei voti in uscita dalla scuola media, secondaria di primo grado, con tutti i problemi che ciò comporta, differenze tra la valutazione interna e quella esterna (esiti SNV).

Rolando Alberto Borzetti, in un articolo pubblicato su Scuolanews -n. 4, 5 giugno 1999, poneva l’attenzione sulla importanza della continuità didattica, soprattutto, per gli alunni con disabilità, affermando che: “…la continuità educativa nel processo di integrazione degli alunni portatori di handicap è uno di quei diritti garantiti, ma purtroppo non viene rispettato…il concetto di continuità educativo-didattica, fa riferimento ad uno sviluppo e ad una crescita dell’individuo da realizzarsi senza macroscopici salti o incidenti”.  Ogni momento formativo che coinvolge lo studente deve essere legittimato per ricercare successive ipotesi educative ricche di senso e di significato per l’autentica armonica integrazione funzionale delle esperienze e degli apprendimenti compiuti dal bambino.

A tal proposito, Giuseppe Greco in Continuità educativa e didattica denuncia la deriva del ruolo impiegatizio nella professionalità del docente (incarichi per graduatorie, anzianità di servizio, con scarso riconoscimento alla progressione di carriera per titoli culturali)  sostenendo che: ” La tematica e l’esigenza della continuità si sono progressivamente imposte nella cultura pedagogica solo quando sono risultati sempre più evidenti i danni della discontinuità del sistema educativo italiano” ciò nonostante poco sembra essere cambiato nelle dinamiche scolastiche se si ritrovano tra gli indicatori, per l’assegnazione docenti, la continuità didattica in buona compagnia con la  discrezionalità del DS. Parlare di una contraddizione in termini è sotto gli occhi di tutti.

Come tutti coloro che vivono la scuola sanno perfettamente, alcune dinamiche (famiglie, opportunità non meglio identificate, ecc.) hanno un peso non indifferente a discapito della ricerca pedagogica o della didattica.

Ma cosa si intende per continuità didattica?

Le norme relative rappresentano la complessità del tema, a partire dal DPR 12/02/1985 fino al DL 36/2022, convertito nella legge 79 del 29 giugno 2022, che ha introdotto disposizioni tese a valorizzare il personale docente, che garantisca la continuità didattica ai propri alunni e studenti e anche per quei docenti, che prestano servizio in zone caratterizzate da disagio sociale, rischio di spopolamento e dispersione scolastica.

Le norme tuttavia si scontrano con le realtà locali, soprattutto, in piccoli centri dove tutti si conoscono e il passa parola è alla mercè di un prolifico facebook.

Forse bisognerebbe informare il Ministero (MIM) che, a dispetto della teoria, la realtà della “discontinuità” didattica che ha come indicatore, nell’assegnazione alle classi, la discrezionalità dei dirigenti, potrebbe avere i suoi vantaggi.

Gli alunni, forse, non rischierebbero di affezionarsi ad un docente, assumendolo al ruolo di modello, come è successo a quelli della mia generazione, che magari abbiamo scelto di fare questo “mestiere” pensando ad un nostro “vecchio” docente ed emulandone metodo e dinamiche relazionali, che tanto ci erano piaciuti quando eravamo adolescenti. Gli alunni, forse, svilupperebbero una maggiore autonomia senza avere un adulto di riferimento, che con continuità si prenda cura della sua crescita culturale e umana. Gli alunni, forse, sarebbero più preparati ad affrontare il senso di precarietà che la vita impone, prendendo atto che neanche per un biennio la scuola ti dà la certezza di ritrovare gli stessi docenti. Gli alunni saranno così educati a capire come funziona il modo degli adulti, dove le parole non sempre hanno significato nelle azioni.

Una riflessione viene quindi spontanea, se il Ministero, in sede di prima applicazione e nelle more dell’aggiornamento contrattuale, destina una quota pari al 10% dello stanziamento annuale previsto per l’apposita sezione valorizzazione docenti, intendendo con valorizzazione che il personale docente garantisca l’interesse dei propri alunni e studenti alla continuità didattica, ripartendo le somme tra le istituzioni scolastiche sedi di titolarità dei docenti a tempo indeterminato tenendo conto degli anni di permanenza del docente nella stessa istituzione scolastica, come mai poi in sede di assegnazione alle classi le istituzioni non sempre ne tengono conto?  che significato si deve dare al termine “continuità didattica” come è inteso dal Ministero?

Sarà una continuità che privilegia l’aspetto amministrativo, la permanenza del docente in quella scuola per assicurare il profilo uniforme a quel Collegio? Ma a questo punto che significato dare all’aggettivo “didattico”, perché si sa tutto quello che coinvolge la didattica si rivolge agli studenti, chiamati utenza in gergo aziendale, ma non a scuola.

A scuola si chiamano, Marco, Fabiola, Giulia, Chiara, Kevin…ed è a Marco, Fabiola, Giulia, Chiara, Kevin che la scuola si rivolge con dettato costituzionale (articolo 34) e con impegno educativo, perché l’istruzione e la formazione sono le armi più potenti per cambiare il mondo (Nelson Mandela) e i docenti hanno un ruolo fondamentale nella società.

Forse…

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