Rimane ancora tanto da fare perché le barriere architettoniche e mentali siano abbattute
Che cos’è la sindrome di Duchenne/Becker e cos’è Parent Project. Come si affronta una malattia rara e quali sono le speranze per il futuro.
Il mondo delle persone con diversa abilità è molto variegato, ma il minimo comune denominatore è l’inadeguatezza dell’ambiente che lo circonda. Infatti, nonostante le norme, la sensibilizzazione, la conoscenza, le giornate dedicate e la solidarietà, ancora oggi si fa fatica a includere (e forse non ci si riesce ancora) a tutto tondo, come recita l’art.1 comma 2 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, “chi presenta durature menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che, in interazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri”.
Tra le associazioni che raggruppano famiglie e/o persone con diversa abilità c’è Parent Project che riguarda le persone con sindrome di Duchenne/Becker, di seguito indicate anche DMD e BMD.
La sindrome di Duchenne, che deve il suo nome al medico francese Duchenne, che la descrisse accuratamente nel 1868, è una malattia rara eterosomica recessiva che colpisce 1 su 5000 maschi nati vivi ed è, tra le distrofie muscolari, quella che più comunemente colpisce i bambini. La DMD in altre parole è una malattia legata ai cromosomi sessuali in particolare, dipende dal cromosoma X (ricordiamo che i cromosomi sessuali della specie umana sono XX nella femmina e XY nel maschio), che possiede un gene mutato. Questo gene non permette la codifica, ovvero non riesce a formare in maniera corretta, una proteina. Tale proteina è la distrofina, la quale normalmente permette l’adesione della membrana della cellula muscolare alla matrice extracellulare. Ne consegue la lacerazione delle fibre muscolari al ripetersi della contrazione. Questo gene si trova sul cromosoma X e quindi colpisce, per la maggior parte, i maschi. Il meccanismo è il seguente: l’assenza o il malfunzionamento della distrofina intacca l’integrità del muscolo stesso: nella membrana si creano dei “buchi” che la rendono instabile e permeabile senza seguire un preciso criterio di ingresso e di uscita di sostanze. Si crea così un flusso anomalo, con sostanze fondamentali per la funzionalità del muscolo in uscita e sostanze dannose, come il calcio, in entrata, che fa esplodere le cellule muscolari. Questo processo, oltre alla distruzione delle fibre muscolari, scatena la reazione delle cellule del sistema immunitario, che attaccano come corpo estraneo il materiale fuoriuscito dalla cellula, amplificando la lacuna e provocando così nel tessuto muscolare un danno ancor più grave. Gli spazi vuoti sono poi riempiti da tessuto connettivo a formare una sorta di cicatrice che impedisce a sua volta la funzionalità muscolare. Tale processo si autoalimenta e ripete in maniera costante fino alla morte della totalità delle cellule muscolari.
La DMD è la forma più grave delle distrofie muscolari, si manifesta in età pediatrica e causa, come abbiamo visto, una progressiva degenerazione dei muscoli.
La BMD è una variante più lieve, il cui decorso varia però da paziente a paziente.
La patologia attraversa diverse fasi, la cui durata non è completamente prevedibile, dipendendo da una varietà di fattori complessi.
Si stima che in Italia ci siano 2.000 persone affette da DMD/BMD, ma non esistono dati ufficiali.
L’associazione Parent Project è presente in tutto il mondo e in Italia ha varie sedi. Il presidente nazionale è il sortinese Ezio Magnano, già da 12 anni nel direttivo nazionale. Lo abbiamo intervistato per conoscere meglio la realtà di questo tipo di distrofia muscolare e per cercare di sensibilizzare la comunità sulle esigenze delle persone con tale sindrome, perché magari (siamo sognatori ma non smettiamo di crederci), qualche istituzione possa prendere lo spunto per iniziare un percorso “virtuoso”.
“L’associazione Parent Project nasce in America circa 30 anni fa ad opera di una mamma che si ritrovò due gemelli con sindrome di Duchenne. Nel 1996 grazie ad un farmacista, il dott. Filippo Buccella, Parent Project nasce anche in Italia con l’adesione di altre famiglie.
L’associazione oggi segue circa 900 famiglie in tutta Italia e circa 95 in Sicilia.” Sono queste le prime parole del presidente Magnano che continua: “La sindrome di Duchenne è una malattia rara.
Riusciamo a fare tanta ricerca grazie alla raccolta fondi. Da 20 anni a questa parte ci sono circa una ventina di trial clinici in conclusione”. Tra gli obiettivi di quelli del 2023, c’è quello di ripristinare la produzione della distrofina fornendo il gene sano, oppure riparando la mutazione genetica in maniera tale da avere un ripristino della stessa proteina.
D: Come si fa a riconoscere la malattia e a che età avvengono i primi sintomi?
R: “I primi sintomi –spiega Magnano- nella deambulazione si hanno a 6-7 anni. Si cammina sulle punte, si ritirano i tendini, ecc… Questo provoca anche una forte scoliosi, che schiaccia i polmoni. Dall’età di 12-13 anni si iniziano ad usare dei macchinari che fanno in modo di mantenere i polmoni elastici, così da permettere agli stessi di svolgere il proprio lavoro e per più tempo. In merito all’aspetto cardiologico si somministrano dei farmaci per preservare il cuore. Oggi grazie a queste cure l’età media è passata dai 18-20 anni ai 35-40 anni. Si lavora per migliorare le funzionalità dei muscoli e del cuore, perché le cause di morte sono dovute, principalmente, a problemi cardiaci e muscolari”.
D: Esistono in Sicilia delle strutture dedicate alla cura della sindrome di Duchenne?
R: “In Sicilia –ci illustra il presidente- i poli di riferimento sono quelli universitari di Palermo e Messina. Abbiamo iniziato anche a svolgere un servizio di supporto alle famiglie chiamato CAD -centro ascolto Duchenne- con 7 centri in tutta Italia 2 dei quali in Sicilia e precisamente a Vittoria (RG) e a Messina. Il CAD è un centro di ascolto psicologico e di sostegno sociale per tutte le famiglie coinvolte, perché quando arriva la diagnosi per un familiare, come è accaduto per mio figlio che aveva due anni, ti crolla il mondo addosso”.
Si parla tanto di abbattimento di barriere architettoniche e di città inclusive, ma rimane ancora tanto da fare perché le barriere architettoniche e mentali siano abbattute. Chi è affetto da DMD/BMD non può circolare liberamente sulla sua carrozzina in quanto le strade non sono sicure, mancano le corsie dedicate (forse non si avrebbe lo stesso diritto di un ciclista?), non esistono scivoli a sufficienza, non ci sono mezzi pubblici attrezzati e sono troppi gli ostacoli per accedere agli edifici. Quanti comuni hanno in organico la figura del disability manager? E se questa persona fosse un soggetto con diversa abilità, come accade in alcune amministrazioni più “illuminate”, perché non mandarlo a fare i sopralluoghi per verificare gli spazi realizzati presenti e dare così le autorizzazioni alla fattibilità delle opere? Perché non adeguare tutte le opere pubbliche ed obbligare tutti i progetti di edilizia privata ad avere le opportune strutture per l’abbattimento delle barriere architettoniche? L’appello ancora una volta è rivolto alla politica, perché si metta mani seriamente ai regolamenti edilizi e ai permessi per costruire al fine di rendere obbligatori, per qualsiasi tipo di manufatto, tutto quanto concerne l’abbattimento delle barriere architettoniche.