Tantissimi spunti per promuovere la ricerca scientifica

allo scopo di trovare delle cure che possano migliorare la vita delle persone con sindrome di Down

 

La sindrome di Down è la causa genetica più comune di disabilità intellettiva. Gli studi fatti ad oggi, hanno preso in considerazione anche le interazioni geni-ambiente.

A tale proposito, si è svolto on line su piattaforma Zoom meeting lo scorso 20-21 ottobre, un convegno scientifico nazionale di alto livello, intitolato “Sindrome di Down: dalla ricerca alla terapia”, organizzato dalla Ds –Down syndrome-  task force italiana, coordinata dal prof. Lucio Nitsch dell’Università Federico II di Napoli.

La Ds task force italiana è il gruppo costituito da ricercatori (attualmente 12) e dai presidenti dell’AIPD –associazione italiana persone Down- e di CoorDown –coordinamento nazionale associazione delle persone con sindrome di Down-.  Le due principali associazioni italiane per la sindrome di Down, hanno partecipato a questa sessione interattiva, con un importante contributo del presidente dell’AIPD Gianfranco Salbini e della rappresentante di CoorDown dr.ssa Elisa Orlandini. “Da molti mesi –ci spiega il coordinatore prof. Lucio Nitsch-, il gruppo è impegnato in un confronto sulle tematiche scientifiche e sulla ricerca in atto relativamente alla sindrome di Down. L’obiettivo è promuovere la ricerca scientifica e diffondere la conoscenza per migliorare la vita delle persone con sindrome di Down. Il team di esperti tra cui medici, biologi e scienziati si occuperà della divulgazione scientifica, di attività di ricerca e di assistenza ai pazienti con sindrome di Down, coinvolgendo al tempo stesso anche i loro familiari”. Il convegno è stato sponsorizzato dalla T21RS, l’associazione internazionale per la ricerca scientifica sulla trisomia del cromosoma 21.

“Il Convegno –ha continuato il professore- ha spaziato dalla ricerca di base a quella clinica, da quella pediatrica a quella geriatrica, da quella molecolare a quella psichiatrica, senza escludere alcuna tematica. Nella prima di queste 5 sessioni la dr.ssa Antonella Izzo, del Dipartimento di Medicina molecolare e Biotecnologie mediche, Università di Napoli “Federico II”, ha presentato la caratterizzazione di neuroni corticali derivati da cellule IPS (staminali pluripotenti indotte) ed ha discusso di come questo modello verrà utilizzato per normalizzare in coltura l’espressione di geni del cromosoma 21, allo scopo di capire quali di essi giocano un ruolo rilevante nel differenziamento delle cellule nervose. Questo approccio dovrebbe servire ad individuare geni che possono essere il bersaglio di nuove terapie, forse anche di terapie geniche”.

Una novità importante della seconda sessione è stata la descrizione da parte della dr.ssa Roberta Rotondo, UOC –unità operativa complessa- Clinica pediatrica, Scuola di specializzazione in Pediatria, Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Azienda ospedaliera-universitaria di Parma, Dipartimento di Scienze mediche traslazionali, Sezione di Pediatria, Università degli studi di Napoli “Federico II” e Laboratorio europeo per lo Studio delle Malattie indotte da Alimenti (ELFID), Università degli studi di Napoli “Federico II”  di un nuovo approccio, mediante organoidi intestinali, allo studio della celiachia nella sindrome di Down ed alla ricerca di nuovi bersagli terapeutici. “E’ stato sottolineato in particolare –ha affermato Nitsch-, come le problematiche intestinali delle persone con sindrome di Down siano state finora sottovalutate, anche nell’ottica della sempre maggiore rilevanza che viene data all’asse cervello-intestino”.

Nella terza riunione la dr.ssa Miriana Natali, DIBINEM –Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie-  Università di Bologna,  ha discusso di un argomento già trattato più volte e cioè la salute orale nel bambino con sindrome di Down. “Questo aspetto è spesso considerato secondario rispetto ad altre problematiche più importanti della sindrome – ha aggiunto il prof. Nitsch-, ma non deve essere trascurato, come qualunque miglioramento della qualità della vita debba essere perseguito con costanza e continuità. La dinamica del gioco, anche in questo caso, può essere molto efficace”.

La dr.ssa Caterina Gori, IRCCS –istituti ricovero e cura a carattere scientifico- Institute of Neurological Sciences of Bologna, nella quarta sessione, ha dibattuto con grande appropriatezza di come deve essere comunicata ai genitori una diagnosi di sindrome di Down. La qualità dell’intervento ha indotto ad estendere il suo significato a tutte le comunicazioni riguardanti la sfera della sindrome, per sottolineare come la comunicazione sia sempre di estrema importanza e meriti pertanto la massima attenzione.

Il prof. Pierluigi Strippoli, Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie (DIBINEM), Università di Bologna, ha presentato un interessantissimo studio che rivisita quello effettuato dal Prof. Lejeune (scopritore della trisomia 21, ndr), negli anni ’70-’80 del secolo scorso, nel quale si sviluppava  una visione integrata dei rapporti tra il ciclo dei monocarboni, biologia dell’intelligenza e disabilità intellettiva di origine genetica. “Attraverso l’analisi delle disabilità intellettive di origine genetica, -ha illustrato il prof. Strippoli-, i risultati degli studi svolti mostrano una correlazione tra il ciclo dei monocarboni e abilità cognitive. Questo modello supporta ulteriormente quanto emerso da singoli studi, ossia la possibilità che un riequilibrio del ciclo dei monocarboni, in particolare attraverso la somministrazione di specifiche forme di acido tetraidrofolico, possa avere effetti positivi sullo sviluppo psicomotorio e sulle abilità cognitive dei bambini con sindrome di Down. È in corso la richiesta di approvazione per una sperimentazione clinica controllata basata su questo principio”.

Il dr. Angelo Carfì, Dipartimento di Geriatria, Fondazione Policlinico universitario “Agostino Gemelli” IRCCS Roma, e la dr.ssa Tiziana Grassi, ricercatrice ISS –istituto superiore di sanità- infine, hanno poi presentato un progetto nazionale per la realizzazione del registro italiano per la sindrome di Down.

Sindrome di Down a 360 gradi dunque, per riuscire sempre meglio e sempre più a studiarne le caratteristiche per rendere qualitativamente migliore la vita delle persone interessate e implementare quanto si fa già con le terapie comportamentali e neuropsicomotorie.

 

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