Titolo della settimana: Radiofreccia di Luciano Ligabue, 1998.
Da una raccolta di racconti, Dentro e fuori il borgo, Luciano Ligabue, autore anche della sceneggiatura, insieme ad Antonio Leotti, ci regala Radiofreccia, storia di un gruppo di amici, Bruno, jena, Tito, Boris e Ivan detto Freccia, che nel 1975 fondano Radio Raptus in un piccolo borgo Emiliano, Correggio, ma potrebbe essere un qualunque paesino italico, tra il bar, con il flipper e le partite a carte, squadra di calcio compresa, le scorribande notturne, la discoteca, il fiume e certe notti. La storia inizia nel 1993, quando Bruno Lori annuncia in diretta radiofonica la chiusura dell’emittente al diciottesimo anno esatto dalla fondazione, diventata nel frattempo Radiofreccia, in onore di Ivan Benassi, ripercorrendo a ritroso tutti gli avvenimenti, dalla fondazione della stessa alla dipendenza dalla droga di Frecciarossa.
Pellicola suddivisa in cinque capitoli, tra drammi, momenti divertenti e personaggi variopinti che gravitano attorno al gruppo, su tutti Freccia, sempre alla frenetica ricerca di qualcosa che gli permetta di rimettete insieme i cocci della propria esistenza difficile, tra famiglia e tossicodipendenza, indimenticabile pezzo di cinema il suo Credo, uno dei migliori monologhi del cinema italiano contemporaneo. Ligabue per buona parte della pellicola si diverte e ci lascia in zone confortevoli, per poi in maniera graduale e quasi inaspettata ci proiettato in un mondo di sofferenza e disagio, con l’incubo eroina che faceva capolino in quegli anni, troppo per un gruppo di amici forse non ancora pronti per entrare nel mondo adulto. Radiofreccia pur con qualche lieve e normale passaggio a vuoto è un film eccellente, ritratto di una generazione, cinema artigianale e semplice che cresce a ogni visione, più vero e genuino di Ultimo bacio o Perfetti sconosciuti, tanto per fare due esempi di cinema che ricorre a sotterfugi, un cinema ricattatorio, lontano da questo, sincero e lucido. Oltre alla regia, da applausi la scenografia e la fotografia che predilige il rosso, quasi a voler mostrare l’anima dei protagonisti. Filo conduttore la musica, strepitosa, dove si aggiungono due dei migliori pezzi del Liga, Metti in circolo il tuo cuore e Ho perso le parole, struggente canzone che riassume il significato della vita.
La prova migliore di Stefano Accorsi, ciliegina sulla torta Francesco Guccini, proprietario del bar ritrovo degli amici. Se Ligabue voleva fare un film generazionale, ha centrato in pieno il bersaglio, ogni tanto il cinema italiano regala qualche gemma, se ci riesce un cantautore e per giunta esordiente è giusto farsi qualche domanda. Film da recuperare. Buona visione.
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