E Lui si fa vedere in Croce

La prima lettura della Messa di questa V domenica di Quaresima contiene una celebre profezia di Geremia, nella quale Dio manifesta la propria intenzione di iscrivere nel cuore di ogni essere umano un’alleanza nuova, un rinnovato patto tra Lui e il suo popolo.

Dopo l’esperienza travagliata dell’alleanza con Israele, avvenuta attraverso la mediazione di Mosè, Dio dichiara una duplice volontà: quella di conferire maggiore incidenza e prospettiva di efficacia della propria legge nell’animo umano, e al contempo quella di allargare l’orizzonte della possibilità d’estensione di tale alleanza a livello universale, coinvolgendo non più soltanto i primi destinatari del suo messaggio, cioè gli ebrei, bensì tutti i popoli della terra, d’ogni luogo e d’ogni tempo.

Si tratta di un’alleanza senza confini di spazio e di tempo: un’alleanza universale ed eterna. Affinché ciò accada, Dio si impegna a educare in prima persona, senza il tramite di mediatori umani, l’interiorità di ogni uomo, formando nella sua coscienza l’evidenza della bontà di stipulare questo patto con Dio.

Perciò il salmo responsoriale, tratto dal Miserere (Salmo 50/51), prega dicendo: “Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo”. Il rispetto dell’alleanza si giocherà non più soltanto, primariamente, sull’obbedienza a una normativa morale ricevuta da un’autorità religiosa, ma specialmente – e in maniera maggiormente incisiva – sull’ascolto della voce divina che suggerisce alla coscienza umana la rettitudine della condotta, in un rapporto intimo tra il cuore umano e la volontà di Dio.

Ma, perché questa nuova chiamata alla responsabilità umana, che richiede una fede più matura rispetto a un’osservanza puramente esteriore e formale di una legge, si realizzi in modo visibile, occorrerà attendere l’esempio di Gesù Cristo, l’unico vero Mediatore tra Dio e gli uomini: Egli farà comprendere all’uomo che la nuova alleanza con Dio è possibile soltanto nel suo sangue, è un’alleanza suggellata nella sua croce e celebrata nella sua morte e resurrezione.

La seconda lettura, tratta da un suggestivo passo della Lettera agli Ebrei, ci presenta Gesù che offre al Padre, nel corso dell’intera sua vicenda terrena, preghiere e suppliche con forti grida e lacrime, per liberare dalla morte non tanto se stesso, quanto piuttosto l’umanità peccatrice, già irrimediabilmente precipitata nella propria morte spirituale.

E con la sua passione redentrice Egli viene davvero esaudito: l’umanità verrà liberata dalle conseguenze mortali del peccato, risorgendo a vita nuova grazie alla salvezza assicuratale dal sacrificio di Cristo.

Il gesto estremo della donazione totale della propria vita per amore è esempio d’obbedienza che Gesù ci ha donato perché anche noi imparassimo la medesima obbedienza al Padre. L’alleanza tra noi e Dio passa attraverso la croce, umilmente accolta e abbracciata per amore. Da Cristo obbediente, fino alla morte e alla morte di croce, come canta l’inno della Lettera ai Filippesi, impariamo come essere obbedienti a Dio.

Quando “alcuni greci”, rappresentativi di tutti quei popoli pagani che si apriranno alla fede in Cristo, chiedono ai discepoli di poter “vedere Gesù”, Egli non mostrerà altro che l’ora della propria gloria, che indica sempre, nel Vangelo di Giovanni, l’ora della croce: chi vuol vedere Gesù, fissi lo sguardo su di Lui Crocifisso, e lì lo segua. Non c’è altra via per vederlo. Gesù ci ha insegnato la limpidezza di una coscienza onesta e coerente fino alla morte: obbedendo al suo esempio vedremo anche noi la salvezza.

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