«Gesù chiamò a sé i Dodici e iniziò a mandarli a due a due» (Marco 6,7-13).

Se Gesù avesse inviato in missione gli apostoli a uno a uno, anziché a due a due, avrebbero raggiunto il doppio delle città da evangelizzare, e se lo scopo di Gesù fosse stato in qualche modo simile a un’operazione di propaganda, certamente avrebbe potuto calcolare il vantaggio e il risparmio di tempo nel far sparpagliare i Dodici singolarmente in posti differenti.

Ma Gesù non avvertiva la necessità di condurre una specie di azienda per incrementarne il profitto nel minor tempo possibile, battendo ogni concorrenza e sfruttando al massimo le energie del personale alle proprie dipendenze.

La dinamica dell’avanzare del Regno di Dio nel mondo segue una logica divina ben differente: non ha fretta, non bada a grandi numeri o a rapidi risultati, ma si preoccupa innanzitutto di generare e far testimoniare la comunione tra i discepoli del Regno.

A due a due, l’uno sostiene l’altro.

A due a due, non vi è rischio di protagonismi e individualismi narcisistici.

A due a due, le sconfitte non deprimono e le vittorie non insuperbiscono.

A due a due, soprattutto, si realizza la rassicurante promessa di Gesù: «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Matteo 18,20); in modo che non è più la parola personale dei discepoli a predicare, bensì la presenza misteriosamente invisibile eppure innegabilmente reale del Maestro in mezzo a loro, quando i discepoli sono davvero uniti, nel suo nome. E sarà Lui, in realtà, a portare la “buona novella” del Regno di Dio nel mondo: per i discepoli basterà mantenere accesa la fiamma del loro amore reciproco, che garantisce la Sua presenza in mezzo a loro.

A due a due, quando uno è stanco o ferito, l’altro può offrirgli la disponibilità a portarlo sulle proprie spalle per un tratto del faticoso cammino. E proprio l’icona del fratello che porta l’altro sulle spalle è l’immagine con la quale tanti amici ricordano con affetto un discepolo speciale di Gesù dei nostri giorni: padre Giuseppe Lombardo, già direttore di “Cammino”, del quale proprio questa settimana ricorrerà il quinto anniversario del guado alla tappa ultraterrena del proprio cammino di vita.

Rimane vivida in tutti i componenti della redazione di “Cammino”, oltre che nelle innumerevoli persone che lo hanno conosciuto, apprezzato e amato, la gratitudine a Dio per averlo incontrato, e per aver imparato dalle sue parole l’ardore di quell’invio missionario descritto nel Vangelo di oggi: «Dobbiamo essere viandanti del nostro mondo interiore per gustare le meraviglie che il Signore, tesoro nascosto, ha messo nel nostro cuore. Il cammino è lungo, ma la bellezza che circonda il nostro essere ci sostiene contro ogni paura».

La liturgia di questa domenica sembra ricordare e salutare “padre Pippo” già nell’antifona d’ingresso della Messa: «Nella giustizia contemplerò il tuo volto, al mio risveglio mi sazierò della tua presenza» (cf Salmo 16,15). Una rapida pennellata, ma che racchiude un po’ la sua vita: da quella “giustizia” al servizio della quale si pone la disciplina del diritto, che ha insegnato per tanti anni a scuola, alla “contemplazione del Volto di Dio” così bene espressa dall’iconografia sacra, della quale padre Lombardo è stato concreto promotore. E infine quel “risveglio” alla presenza del Risorto, per godere in eterno l’eredità promessa a ogni servo fedele.

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