Un test di comprensione su Gesù
Un giorno Gesù stava andando a predicare nella regione di Cesarea di Filippo, situata in una zona geograficamente all’estremo nord della Palestina, quasi ai confini del Libano. Questa missione ci richiama un’associazione di idee con un’immagine proposta dal nostro papa Francesco all’inizio del suo pontificato: essere Chiesa in uscita, verso le periferie, soprattutto esistenziali.
È la scelta anche di Gesù in questo episodio del Vangelo: il Maestro s’incammina verso la periferia, ma ciò che accade non è per nulla periferico, anzi al contrario è ritenuto centrale dall’esegesi biblica per tutto il Vangelo di Marco, una sorta di svolta irreversibile che segna decisamente il primo apice dell’intera vicenda di Cristo.
Con un inizio quasi disimpegnato, la scena presenta una conversazione lungo il tragitto, apparentemente del più e del meno. «Per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: “La gente, chi dice che io sia?”». A prima vista, questa improvvisa domanda del Signore potrebbe apparirci sorprendente: Egli infatti si dimostra sempre molto libero, anticonformista, determinato, disinvolto, e sufficientemente sicuro di sé, o meglio della bontà delle proprie azioni, da non aver mai fatto sospettare di temere il giudizio dominante della gente, le cui preferenze ed esigenze non si è mai sentito tenuto ad assecondare.
Questo imprevedibile interessamento all’opinione comune avrebbe forse potuto suscitare l’impressione di una debolezza, di una vulnerabilità, alla quale i più spigliati tra i discepoli avrebbero potuto rispondere confidenzialmente: “Gesù, ma che importanza ha cosa la gente pensa di te? Va’ avanti serenamente continuando ciò che stai facendo, perché sai che è la cosa giusta, indipendentemente dalle incomprensioni degli altri”.
Eppure, a questo punto Gesù desidera non tanto verificare il suo indice di gradimento, come farebbe qualche politico consultando sondaggi popolari, quanto piuttosto esaminare la reale penetrazione del proprio annuncio nel cuore dei suoi destinatari.
Alla stretta sui discepoli («Ma voi, chi dite che io sia?»), giunge la professione della fede di Pietro che i commentatori hanno giustamente considerato primo centro e apice di tutto il Vangelo di Marco: «Tu sei il Cristo». Semplice, lapidaria, pronunciata tutta d’un fiato, con fierezza e sicurezza, o con la commozione di chi non riesce a dire di più a causa di un nodo in gola: una confessione certamente sincera. Pietro sa che in Gesù ha trovato tutto, sa che non c’è nessuno o nulla al mondo meglio di Lui, sa che una volta conosciutolo non potrà lasciarselo scappare mai più, e che vale la pena lasciare tutto per Lui.
L’insegnamento immediatamente successivo di Gesù, però, lo spiazzerà (come sempre): il Cristo è colui che deve soffrire, e pure molto, poi persino essere ucciso, e infine misteriosamente risorgere. E non solo Lui: anche a chi sceglie di seguirlo è preparata una sorte simile, con la croce sulle spalle e uno spaventoso rinnegamento di sé.
A questo punto, comprensibilmente, Pietro sperimenta la prova della confusione, o la confusione della prova: non potendo e non volendo rinunciare a seguire Gesù, chiede a Gesù di rinunciare a questo programma di vita. Invece, come dirà San Paolo, l’unico Cristo vero è soltanto Cristo Crocifisso (cfr. 1 Corinzi 2,2). E l’unico cristiano possibile è quello che rinnega se stesso, prende la propria croce e segue Gesù: non fino alla morte, ma fino alla resurrezione. Coraggio!
- Immagine in evidenza: C- Archivio Cammino