Dopo un ventennio di iniziative culturali dell’Associazione italo-tedesca, un salto di qualità: non più Germani e Germanisti, non più Italo-Tedeschi, ma un Siciliano che guarda e vive quasi in Francia, Enzo Barnabà, un affabulante cultore di nomi, di date, un guardiano del confine fra le due sorelle latine, di origini siciliane Valguarnera di Sicilia, già Caropepe, in quelle montagne di Aria del Continente di Martoglio e di Turi Ferro.
Territorialista, notista ed aneddotista eccelso, ora personalissimo presentatore della sua ultima opera a Siracusa lo scorso sabato 23 novembre, un saggio sui luoghi dove abita, Ventimiglia, Grimaldi sua frazione e Mentone, già città italiana, ma dal 1861 ultimo miglio della Francia
strappato al Regno di Sardegna di Cavour. Il suo volume porta un titolo che già è un programma: Il sentiero della speranza, edizioni infinito, 2024. È la storia di una striscia di terra, non dissimile da quella di Gaza, se non per il numero infinitamente inferiore di morti, che costella quella frontiera.
Un camminamento narrato a colpi di aneddoti su attraversamenti avventurosi, di italiani e di slavi, di ebrei ed antifascisti; di anarchici e di esuli o di dissenzienti e terroristi, fino agli immigrati nordafricani che da Lampedusa raggiungono quel terribile ponte di terra fra monti e strapiombi, che Enzo guarda con apprensione quando vede dalla sua villetta in montagna i disgraziati magrebini arrampicarsi per saltare sul terreno sperato.
Il passo della morte che già Pietro Germi nel1951 rappresentò nel celeberrimo Cammino della speranza, concluso da una serie di sguardi indescrivibili, fra le guardie di frontiera francesi e la famiglia di emigranti siciliani che da Caltanissetta alle porte di Mentone, al ritmo di Vitti una crozza e che dopo il passo della
morte, trovarono finalmente un luogo di pace e di vita dignitosa.
Oggi – dice Enzo – sono gli immigrati a trovarsi di fronte a burberi poliziotti che spesso li rimandano indietro, senza quella compassione e pietà che Germi ritrasse mirabilmente.
Enzo, da storico e geopolitico, dopo anni di certosina raccolta di dati, rivolge ai tanti che fuggono il suo sguardo umano e giudica severamente il costante rigetto di quella crudele polizia di frontiera che fa del Confine un Limite invalicabile e spesso spregevole, esecutori incapaci di accettare i diritti della persona e del povero straniero che ha abbandonato il territorio dove è nato e che lo ha connotato comunque un Uomo degno di vivere.
Fare il guardiano di confine non è perciò comportarsi da cerbero dantesco, ma essere un custode della vita ed un annotatore critico e propositivo. Cioè un emulo di quel buon padre di famiglia che lasciò passare senza se e senza ma quei poveretti e quel bambino in lacrime che turbò tanti spettatori benpensanti nell’Italia ipocrita degli anni ’50, che guardava solo a se stessa intenta a ricostruire una società distrutta dalla guerra.
Ma noi, oggi siamo stati veramente toccati da Enzo Barnabà, oppure cambiamo canale quando vediamo le tristi sorti non certo progressive di quegli immigrati respinti, dimostrando piuttosto di essere molto lontani da quel Cristianesimo che
crediamo di praticare?
- di Giuseppe Moscatt