La fortuna artistica dell’iconografia di Santa Lucia è legata alla città di Venezia e allo sviluppo delle attività creative nell’area veneta dal sec. XIV al sec.XVIII. L’interesse degli artisti e della committenza è dovuto alla presenza delle sacre spoglie della martire siracusana nella Chiesa di Santa Lucia (fino al 1861), a Cannaregio, nelle adiacenze del Ponte degli Scalzi, dove è oggi la stazione ferroviaria della Serenissima che porta appunto il nome della Santa. Non c’è artista veneto che dal Medioevo all’età barocca, anche dietro l’impulso dell’invocazione di Dante Alighieri, non si sia confrontato con la Santa della Luce.
Il ciclo pittorico più importante è quello dell’Oratorio di San Giorgio, accanto alla Basilica di Sant’Antonio, a Padova. Dal 1379 e il 1384, in un piccolo santuario, Altichiero da Zevio, nel contesto di un vasto racconto pittorico, dipinse le scene della vita, del martirio e dei funerali di Santa Lucia. In perfetta aderenza allo stile Gotico Internazionale, Altichiero, probabilmente in collaborazione con Jacopo Avanzo, seguì il racconto della passio luciana della tradizione latina e in quattro grandi campiture, con la tecnica dell’affresco dipinse Santa Lucia irremovibile nella fede davanti al Tribunale di Pascasio e quindi la scena in cui viene trascinata inutilmente verso un postribolo. C’è poi la rappresentazione del martirio attraverso l’olio bollente, il rogo e il taglio della giugulare con un pugnale. L’affresco che chiude il ciclo rappresenta i funerali della Santa con la presenza di numerosi fedeli, il Vescovo Eutichio, la madre e un chierico.
Quest’ultimo affresco colpì il giovane Michelangelo Merisi che, al seguito del suo maestro Simone Peterzano, in uno dei tanti viaggi verso Venezia, ebbe modo di apprezzare e memorizzare la scena della cerimonia funebre. Ciò probabilmente in connessione con il nome di sua madre, Lucia de Oratoribus. Nella memoria del Caravaggio quella scena padovana riaffiorò nei primi giorni del mese di Ottobre del 1608 quando, scappato dal carcere maltese del Forte Sant’Angelo, riuscì a raggiungere Siracusa. Qui entrò in contatto con l’amico degli anni romani, Mario Minniti, e con il maggiore erudita siracusano di quel tempo, il senatore Vincenzo Mirabella. Col Minniti e il Mirabella ebbe modo di conoscere il patrimonio pittorico della città e fu sicuramente per l’approfondimento del tema del Seppellimento di Santa Lucia, commissionatogli dal Senato della città aretusea, che guardò con particolare attenzione il polittico quattrocentesco della Chiesa di San Martino in cui, nel primo registro, accanto alla Vergine in trono col Bambino, figurano San Marziano e Santa Lucia. Il Merisi, citazionista per antonomasia, estrapolò dalla tavola medievale la figura in preghiera della Santa per trasformarla in chierico. Creò in tal modo, nella sua grande tela, uno specchiamento tra Lucia morta, distesa nel fondo di una catacomba nell’atto di essere interrata, e Lucia rinata a nuova vita espressa dalle sembianze del chierico con la stola rossa.
L’opera del Merisi, attraversata da una grande forza espressiva, fu ripresa dagli argentieri palermitani che nella prima decade del sec.XVII completarono la cassa argentea in cui la comunità locale auspicava di poter custodire, nella speranza che fossero restituite dalla chiesa veneziana, le spoglie della martire siracusana. Nell’argento luminoso, tra le varie scene, quella del Seppellimento cattura ancora oggi l’attenzione del fedeli, per la crudeltà del messaggio, per il senso di impotenza di fronte alla violenza, per il senso di pietà e condivisione. Lucia è figlia e sorella, amica e compagna di ogni cristiano. Sulla cassa argentea oggi viene offerto al culto luciano un simulacro di scuola gaginiana eseguito da Pietro Rizzo. Si tratta dell’ultimo modello iconografico del tardo Rinascimento, dopo il quale tutto volgerà in movenze barocche, svolazzi di panneggi, espressioni dal movimento vorticoso. Come ad esempio nel caso della scultura eseguita nel 1757 per il frontespizio della Cattedrale dallo scultore palermitano Ignazio Marabitti. Nel marmo cristallino l’artista scolpì la bellezza compiuta senza traccia di dolore e di sofferenza. Lucia non è più la creatura vilipesa, oltraggiata, martirizzata, ma è la Santa della Gloria e della presentazione gioiosa davanti all’Eterno. Lei guarda dall’alto, con compassione, i luoghi che l’hanno vista vittima della crudeltà umana. All’estro creativo di Antonello Gagini si deve invece la statua della Santa collocata nella navata sinistra della Cattedrale. E’ opera documentata del 1526 e rappresenta Lucia che mostra, dentro una coppa, gli occhi del passaggio terreno. Quasi analoga è la composizione iconografica di un altro simulacro in marmo rinascimentale collocato nel transetto della Chiesa del Carmine, tra il quartiere Graziella e la Spirduta.
Anche nell’architettura, oltre che nella scultura e nella pittura, il culto di Lucia trova espressioni di altissimo valore artistico. Escludo per brevità di ragionamento le chiese fuori dall’Isola e punto l’attenzione di chi legge alla nostra Badia e al Tempietto del Sepolcro.
La facciata della chiesa della Badia, in particolare, è un autentico capolavoro della scenografia barocca. Il prospetto, oltremodo slanciato rispetto alla volumetria del vano chiesastico, risponde alle regole spaziali della grande apertura urbana, chiudendo, come una quinta teatrale, il fondale della piazza. Fu la prima chiesa ad essere ricostruita dopo il terribile sisma del 1693, ciò a dimostrazione dell’interesse sia della comunità religiosa che della società civile.
Nel Tempietto del Sepolcro, eseguito su progetto di Giovanni Vermexio, nel secondo quarto del Seicento, si ripete la forma ottagonale degli antichi battisteri. Le imponenti membrature architettoniche occupano il posto di una camera rotonda di origine paleocristiana dove, nella parte di levante, c’è ancora lo squarcio del sepolcro di Santa Lucia, vuoto dal 1039, anno in cui il generale bizantino Giorgio Maniace portò le spoglie della martire a Costantinopoli. Ai piedi dell’arcosolio c’è uno dei capolavori della scultura barocca europea, la statua in marmo eseguita dall’artista fiorentino Gregorio Tedeschi nel 1634. Delicata e serena, sembra davvero che Lucia si sia addormentata ai piedi del suo sepolcro.
Non mancano altre testimonianze d’arte sul culto della santa siracusana, nella stessa Siracusa, nella Diocesi e in tutto il territorio nazionale e in diverse nazioni europee e delle Americhe. Ciò a dimostrazione del fatto che i percorsi della fede sono stati contrassegnati nel tempo dalle espressioni dell’arte.
- Cammino, speciale in edizione tipografica del 13 12 2024