Riappropriamoci del Natale. Perché siamo stati espropriati del Natale.
Espropriati in un duplice modo. Da un lato il Natale è divenuto ostaggio dai
commercianti: il Natale è diventato una grossa occasione di mercato. Dall’altro lato è
diventato un’occasione di evasione per rifugiarci in una languida e sentimentale
atmosfera magica e alienante. Questa atmosfera che ci fa arretrare nella dimensione
infantile rischia di diventare mistificante.
Il Natale invece è un mistero di una sconvolgente profondità che dà le
vertigini: il mistero di un Dio che si fa uomo, un Dio che si spoglia della sua
onnipotenza e assume la natura umana in tutta la sua povertà e precarietà, un Dio
eterno che entra nel tempo e nella storia, un Dio infinito che si rende limitato nello
spazio breve di una vita umana, un Dio immortale che diventa mortale perché uomo.
San Paolo ci dice che Dio, “da ricco che era si è fatto povero per arricchire noi
con la sua povertà”. La povertà radicale di Gesù non è quella per cui egli nasce in una
grotta anziché in uno splendido palazzo. Questa è soltanto la manifestazione esterna
di una povertà ben più radicale: la povertà di Dio è quella per cui Lui diventa mortale.
Un Dio che, una volta nato come uomo, deve morire. E in realtà il racconto della
Natività di Gesù nei Vangeli si snoda avendo presente la memoria inquietante della
sua Passione. Le fasce con cui viene avvolto il corpo di Gesù bambino evocano il lino
con cui è avvolto il corpo di Gesù morto. Il gesto di Maria che depone il corpo di
Gesù bambino nella mangiatoia evoca la deposizione di Gesù morto nel sepolcro.
Questo bambino porta già i segni e il destino del Crocifisso.
Ma perché Dio si è fatto povero? Per arricchirci con la sua povertà. Con la sua
Incarnazione si è fatto nostro fratello, nostro compagno di viaggio, ci ha reso
partecipi della sua vita divina, facendosi nostro fratello ci ha reso figli di Dio, ci ha
restituito la dignità di figli di Dio. Con l’Incarnazione quanto appartiene al Verbo
eterno è trasmesso all’uomo, ci è donata la rinascita in Cristo, la dignità divina. Il
Figlio di Dio è diventato ciò che noi siamo perché noi potessimo diventare ciò che
Egli è. Ecco la ricchezza che ci ha donato.
Nascendo tra noi il Verbo eterno ha vinto la nostra solitudine: la solitudine
causata dal vuoto di ideali, di sentimenti veri, di valori che alimentano la vita. Con
l’Incarnazione il Verbo diventa il Dio-con-noi. Non siamo più soli.
Cristo è l’Amore: non comanda niente: attrae. Cristo ci ha donato voce, ci ha
donato dignità, ci ha donato libertà, ci ha donato grandezza, ci ha donato capacità di
pensare liberamente, ci dà anche la libertà di fare della nostra vita un dono.
Tutti abbiamo bisogno di trovare Qualcuno che dia consistenza, che dia
certezza, che dia fiducia, che dia speranza e che dia eternità a quello che abbiamo nel
cuore.
Nessuna vita umana avrebbe un senso e una consistenza se Cristo salvatore non
si fosse incarnato nell’uomo e non l’avesse redento.
E allora scopriamo il nostro senso di appartenenza. Noi apparteniamo a Cristo.
Cristo appartiene all’uomo, è dentro l’uomo.

Il presepio è fatto di persone umane e di animali. Provate a togliere quel
Bambino, spegnete quella luce. Cosa vi rimane? Avete creato una umanità che non
ha più una speranza, ma è una stalla.
E allora, cosa ci ha portato questo Bambino? Noi abbiamo dimenticato la
paternità divina, e quindi abbiamo dimenticato la fraternità umana. In Cristo ci
riscopriamo fratelli.
Mentre sperimentiamo che nella società, dove arretra la religiosità avanza la
barbarie, Cristo è venuto per umanizzare l’uomo, per salvare quello che c’è di umano
nell’uomo, per innalzare l’uomo alla dignità di figlio di Dio.
Il mistero della Incarnazione del Verbo eterno è un mistero di amore, un
mistero di salvezza. E noi siamo chiamati a pensare dentro il mistero. Siamo chiamati
a meditare in Silenzio. La Notte di Natale è una notte di Silenzio, dove lo stupore ti
lascia senza parola. Solo nel Silenzio possiamo percepire il messaggio comunicato
dagli Angeli ai pastori: “Vi annuncio una grande gioia: è nato per voi un Salvatore!”.
Proprio nella notte dell’uomo irrompe la luce di Cristo. Senza Cristo l’uomo vaga
nella notte: perde il senso della sua vita, non sa più da dove viene né dove va, non sa
perché vive. È disorientato, è smarrito. Il Concilio ci dice che “solo nel mistero del
Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Cristo, proprio rivelando il
mistero di Dio e del suo ineffabile amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e
gli fa nota la sua altissima vocazione” (GS 22).
Vi sono molte persone che fanno l’amara esperienza di essere rifiutate. Il
Figlio di Dio è nato in una grotta perché “nell’albergo per loro, cioè per Maria e
Giuseppe, non c’era posto”. Non essendoci posto per Maria e Giuseppe, non c’era
posto per Gesù. Nel presepio c’è un Bambino rifiutato da tutti, è lì in una greppia; è
avvolto su pochi panni, gli hanno chiuso le porte in faccia ed è andato a nascere dove
si ricoverano gli animali. E quella casa non ha padrone, perché il Signore che viene
al mondo non ha padroni.
“Cristo nasce «fuori dalla casa» e muore «fuori della città», per essere in modo
ancor più visibile il crocevia e il punto d’incontro.
Nessuno è fuori della salvezza, perché nessuno è fuori del suo amore, che non
si sgomenta né si raccorcia per le nostre opposizioni e i nostri rifiuti” (don Primo
Mazzolari).
Contempliamo questo Bambino. Lasciamoci interrogare da questo Bambino.
Lasciamoci attrarre da questo Bambino. Lasciamoci salvare da questo Bambino.
Lasciamoci cambiare da questo Bambino. Se nella nostra vita non cambia qualcosa
questo Natale sarà passato invano.
Invece io auguro a noi tutti che la luce che splende nella notte di Natale possa
risplendere sempre nella nostra mente e nel nostro cuore, che la stella del Natale ci
orienti nel cammino della vita, che l’incontro personale con Cristo segni una svolta
decisiva nell’esistenza, che il nostro cuore si apra e accolga tutti coloro per i quali
non c’è posto nella società come non ci fu posto per Cristo. Fare spazio a Cristo e alla
sua Parola di luce e di salvezza significa creare le premesse per costruire una società
più giusta, più umana, fondata sulla fraternità e sull’amore.

Foto – Chiesa della Natività (Sortino). foto Vincenzo Rio (Le segnalazioni dei presepi in diocesi dei nostri lettori)

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