“Cu nesci arrinesci” oppure “Si resti arrinesci”? Il futuro dell’Isola, del suo patrimonio più grande, e prezioso, quello dei giovani, si gioca fra queste due opzioni: da una parte un vecchio detto – sempre attuale – che ha segnato generazioni e ha animato il desiderio di realizzarsi di migliaia di giovani siciliani che di fronte al caos, alla mancanza di servizi, di opportunità e di speranze nell’isola, ha preso la valigia – di cartone prima, trolley firmati oggi – e senza troppo romanticismo si è costruito un futuro altrove (ricordate cosa dice il vecchio Alfredo al giovane Totò in “Nuovo Cinema Paradiso”? “Vattini, chista è terra maligna”); dall’altra un nuovissimo movimento “alternativo” e provocatorio – che non è di sardine o tonni ma di valigie di cartone – per chiedere ai giovani di provare a restare, invitando le istituzioni, la società civile, tutti i siciliani a creare in Sicilia stesso condizioni di sviluppo e di futuro. “Si resti arrinesci”, un movimento promosso da don Antonio Garau e da un gruppo di studenti universitari, sostenuto dalla Chiesa di Sicilia, da sindaci e da associazioni sociali e sindacali per mettere al primo posto dell’agenda quella che ha ormai assunto i connotati di una vera e propria emergenza. Iniziativa presentata a Siracusa nella parrocchia Sacra Famiglia da padre Claudio Magro. Ma si può restare e “arrinesciri”? I numeri sono impietosi e nessuno può nascondersi ormai dietro il dito. Quale futuro si può costruire in questa Sicilia? E quale Sicilia si potrà costruire se non ci saranno più i giovani e le loro famiglie? Quali imprese? Quali città?

La Sicilia è “sempre più povera e vecchia” e i giovani la guardano “come luogo di non crescita, senza futuro: l’unica via è la fuga”; in risposta, occorrono la presenza concreta, l’impegno fattivo e “il coraggio di porre in loro fiducia”, hanno notato i vescovi e i delegati della pastorale dei giovani delle diciotto diocesi dell’Isola, nei giorni scorsi, nel corso di una sessione pubblica durante i lavori della sessione invernale della Conferenza episcopale siciliana. “La situazione migratoria dei giovani – scrivono i presuli in una nota – colpisce soprattutto le aree interne che si configurano con le zone montane che, nonostante il grande patrimonio culturale e artistico di cui sono ricche, non sono state valorizzate adeguatamente dalle istituzioni, mancando di capacità imprenditoriale e di cultura del lavoro. Quei giovani, che hanno scommesso sull’apertura di aziende, sono scappati in poco tempo non solo per la crisi economica, ma anche per la mancanza di vie di comunicazione adeguate allo sviluppo economico. La mancanza di speranza dei giovani siciliani – continua il comunicato finale che riassume i lavori dell’assise – pone l’accento sulla sfiducia nelle istituzioni e nella politica in generale, guardando ai politici come insensibili alle situazioni sociali ed economiche in cui versano i giovani nel non potere realizzare i propri progetti nella loro terra”.

Quello dei vescovi è un appello a “fare fronte comune” contro lo spopolamento dei territori e per contenere l’esodo dei giovani in cerca di lavoro. Perché si possa “arrinesciri” dove si vuole. Liberi. Di andare, di seguire il proprio sogno nel mondo. Ma anche di realizzarlo nella propria terra. Lì dove si è nati. Senza diaspore, senza imposizioni, senza sensi unici. “Giovane, arrinesci”. E basta.

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