E se la “vera” pandemia non fosse (solo) il coronavirus?
In questi giorni nei quali ciascuno di noi fa i conti con le proprie paure e angosce – più o meno evidenti, più o meno apertamente confessate – legate alla pandemia da coronavirus, tutti seguiamo il rimbalzare di notizie e informazioni (o almeno presunte tali) dallo schermo delle tv a quello di tablet e smartphone passando per le pagine dei quotidiani e, soprattutto, dei social. Con tutto il carico di distorsioni (lo anticipo, un carico che a mio avviso ha raggiunto picchi tutt’altro che fisiologici) che questo comporta. Questo fenomeno ha un nome ben preciso: infodemia. In pratica, come si può agevolmente leggere su Treccani.it, si tratta della “Circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili”. Per chiarire ancora meglio il concetto prendo a prestito quanto scritto di recente da Leonardo Becchetti su Avvenire.it: Con il neologismo infodemia l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha voluto, in questi giorni in cui la paura del coronavirus impazza, sottolineare che forse il maggiore pericolo della società globale nell’era dei social media è la deformazione della realtà nel rimbombo degli echi e dei commenti della comunità globale su fatti reali o spesso inventati”. In questi ultimi tempi il sospetto che ha preso corpo in me – e sono, purtroppo, in buona e numerosa compagnia – è che del coronavirus avremo ragione, si spera al più presto, mentre perché sia messo a punto un “vaccino” capace di renderci immuni (o quasi) dal virus dell’informazione superficiale e approssimativa, legata al sentito dire, figlia dell’assenza di qualsiasi pur elementare riscontro e verifica, servirà molto più tempo. Il nodo non è, infatti, la gran mole di informazione disponibile – che anzi reputo un fatto positivo – ma la circostanza che questa gran quantità di notizie viene resa disponibile in un contesto dove, nel tempo, si è persa qualsiasi capacità di sapersi muovere, orientare e scegliere in quello che è diventato una sorta di gran bazar dove si trova di tutto e di più. Così che se tutto è notizia, niente è notizia.
Ma possiamo rassegnarci? Ovviamente no. E allora ecco che un paio di semplicissime operazioni ci possono aiutare per provare a scovare, specie sul web, fake news o comunque contenuti scarsamente attendibili. Sono cinque domande facili facili che, se impariamo a porci, ci saranno di grande aiuto per evitare di finire come pesci nella grande… rete del web.
In primo luogo Chi lo dice? Individuare la fonte di un’informazione è il primo passo. Poi occorre verificare la data e le circostanze di un contenuto: sono due aspetti molto importanti. Il web è una sorta di cimitero degli elefanti dove ci si può imbattere in notizie molto vecchie, superate da altre, ma che il “gioco” degli algoritmi propone in posizione prioritaria quando lanciamo una ricerca. Poniamoci poi un terzo quesito: qualcuno conferma quella specifica informazione? La verificabilità di ogni notizia è fondamentale. È un’operazione che va sempre fatta. E per fare questo ci può aiutare un’altra – la quarta – domanda da porci: Chi lo conferma? Se c’è una qualche voce che dà conferma ne va, a sua volta, valutata l’autorevolezza che può essere basata su due parametri: vicinanza al fatto e competenza. E infine: qualcun altro ne parla? Il confronto è la strada di fatto più semplice par capire quanto un’informazione sia attendibile. E, di solito a portata di pochi click si può cercare un’altra versione. Ecco qui. Non è tutto ma sicuramente un buon punto di partenza.

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– Aldo Mantineo è giornalista e scrittore. Il suo ultimo libro è DireFareComunic@re – Gestire un ufficio stampa al tempo dei social, edito da Media&Books.
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