Sinora la pandemia in Italia ha rubato quasi due mesi di vita agli italiani. Mentre siamo tuttora segregati nelle nostre abitazioni, ci accorgiamo che fuori la Primavera avanza con la sua bella luce, con i suoi intensi profumi. Scorre (quasi inutilmente per certi aspetti) questo primo scorcio di calendario che ha sempre immesso gioiosamente la gente nel cuore della bella stagione, con i suoi colori, con le sue feste popolari.

In particolare, nel nostro Territorio siracusano il mese di aprile ha di solito spalancato le finestre all’incontro con le belle giornate maggio, ricche da secoli di feste popolari, a lungo attese e sempre celebrate con il tipico calore delle persone del Mezzogiorno.

 Quest’anno la vigilia dei giorni di maggio è cambiata, rispetto agli anni scorsi. È diffusa tanta grave incertezza sanitaria ed economica, anche se sembra stemperarsi gradualmente l’iniziale preoccupazione pandemica. Alcune certezze si impongono però chiaramente: nel mese di maggio 2020 non potremo vivere pubblicamente le caratteristiche festività popolari e religiose, tanto care alla nostra tradizione.

Soltanto per fare alcuni esempi, almeno nella prima parte del mese di maggio, non potremo uscire nelle strade (come prima, da generazioni) per le festose e affollate ricorrenze di Santa Lucia a Siracusa, di Sant’Alfio a Lentini, di San Sebastiano a Melilli, etc.

Parteciperemo sicuramente in modo diverso, virtuale, telematico. In concreto mancherà però l’abbraccio personale e sociale che ha sempre animato l’incontro popolare, ogni anno fraternamente rivissuto nel gioioso rinnovo degli appuntamenti della migliore tradizione.

Alla rassegnazione per questo prossimo silenzio collettivo, innaturale e forzato, per questo inedito spaesamento popolare e civile, subentra però la speranza che proprio nel corso dell’imminente mese di maggio si possa ritornare a riprendere gradualmente la vita sociale ed ecclesiale.

È forte l’attesa per voltare finalmente pagina, responsabilmente, non soltanto nella vita economica del Paese ma anche in quella più strettamente della Chiesa. Si attende di tornare presto alla piena fruizione comunitaria dei nostri luoghi di culto, rimasti troppo a lungo chiusi per battesimi, matrimoni, funerali e per ogni tipo di incontro aggregativo o sacramentale. In questo periodo, con quanta difficoltà abbiamo tutti vissuto questa inibizione! In particolare per i mancati funerali ai cari defunti: una sofferenza nella sofferenza! Quasi un cinico accanimento della pandemia.

Adesso la gente chiede che si torni alla normalità, pur con tutte le necessarie cautele. Alle competenti Autorità istituzionali (già in dialogo per la “fase 2”), questo ritorno alla normalità lo chiede la stessa gente che ha mostrato a lungo senso di responsabilità, attenendosi alle regole comunitarie imposte dal coronavirus.

Poi, per il prossimo anno, potremo tornare a pensare alle feste popolari a noi tanto care, rimaste amaramente sospese. Magari con rinnovato entusiasmo e con responsabile partecipazione. Ma adesso pensiamo pure alla ripresa graduale della vita ecclesiale. Altrimenti rischiamo di non essere più Chiesa viva!

Credito fotografico: immagini dal web.

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