“Giovanni, ho preparato il discorso da tenere in chiesa dopo la tua morte: “Ci sono tante teste di minchia: teste di minchia che sognano di svuotare il Mediterraneo con un secchiello… quelle che sognano di sciogliere i ghiacciai del Polo con un fiammifero… ma oggi signori e signore davanti a voi, in questa bara di mogano costosissima, c’è il più testa di minchia di tutti… Uno che aveva sognato niente di meno di sconfiggere la mafia applicando la legge”.
Queste le parole del magistrato Paolo Borsellino qualche mese prima della strage di Capaci in cui perse la vita un grande amico, un grande magistrato ma cosa più importante un grande uomo: Giovanni Falcone.
Quando sentiamo il nome di Giovanni Falcone è facile collegare un viso ed una storia. La storia che per sommi capi tutti sappiamo ma nessuno sa veramente. Vittima di mafia. Si battè moltissimo per sconfiggerla. Maxi processo. Amico di Paolo Borsellino. Strage di Capaci. 23 maggio 1992. 23 maggio esattamente come oggi, 28 anni fa.
Ma dove iniziò questa passione, questa forte carica emozionale, combattiva, propulsiva che lo portò alla morte?
Se tutto ha un “incipit”, possiamo affermare che quello della sua carriera lo conoscono in pochissimi.
Infatti quasi nessuno sa che Giovanni Falcone da magistrato, non mosse i suoi primi passi nella sua Palermo, amata città natale, bensì nell’aula del Tribunale di Lentini. 
Ebbe il suo primo incarico, appena ventiseienne, da uditore e vicepretore proprio nella cittadina in provincia di Siracusa. Fu lì l’inizio di tutto. L’inizio della sua … fine.
Uno dei suoi primi casi fu quello di una persona morta per un incidente sul lavoro. Il primo di una lunga serie.
Giovanni era un sognatore, un ragazzo umile che pensava tanto ed agiva il doppio!
Con queste parole lo ricorda un amico lentinese.
Già, perché Giovanni seppe farsi “amici” in vita ed anche in morte. Soprattutto in morte.
Quanti inneggiavano il suo nome dopo averlo spinto dentro quel “tabbuto” con le loro mani?
Quanti lo inneggiano e sporcano ancora?
Giovanni, come molte altre vittime di questo grande male che affligge, colpisce e coinvolge più del 50% della popolazione italiana, è stato vittima di un gioco di specchi che ha giovato più di tutto alle stesse intelligenze criminali.
Popolazione italiana. Sì. Perché la mafia non è solo “Cosa Nostra”, è anche cosa vostra cari amici e connazionali tutti. E se fosse stato accettato questo dato di fatto ad oggi avremmo meno vittime e più consapevolezza.
Ma siccome «per essere credibili bisogna essere ammazzati» come disse lui stesso in un’intervista, consapevole del suo destino. Si aspettava la sua morte per potergli conferire onore e credibilità. Credibilità che per l’appunto, molti politici, “colleghi” e uomini d’affari gli riconobbero solo dopo il suo martirio. Fino a quando era ancora in vita il padre del maxi-processo contro Cosa Nostra del 1987 e principale protagonista del pool antimafia dei magistrati di Palermo, aveva subito attacchi da politici e da alcuni suoi colleghi che ne ostacolarono l’arrivo nel Csm.
Ma Giovanni degli amici veri li ebbe e continua ad averli. Pochi ma buoni.
Come i ventidue cittadini lentinesi che si sono autotassati per recuperare i mobili dell’ufficio di Pretore di Lentini, utilizzati dal giudice  Giovanni Falcone dal 14 settembre 1965 al 26 settembre 1967, quando ebbe il primo incarico di magistrato. Mobili che sono stati collocati in un’aula a lui dedicatagli all’interno Liceo classico “Gorgia” di Lentini.
Affinché il suo sacrificio, come quello delle altre vittime di mafia non sia vano, bisogna ricordarlo non solo oggi, memoriale della sua morte, ma ogni singolo giorno.
Siate grandi nelle azioni come lo siete stati nel pensiero.” Così avrebbe invitato le sue genti Achille dell’Iliade o il più attuale Barney Panofsky, produttore televisivo ebreo, a non produrre solo pensieri e parole, ma gesti e fatti.
Immagini in evidenza: lo studio lentinese di Falcone ricostruito al Liceo Gorgia.
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