La Fondazione Inda rinnova anche quest’anno l’appuntamento con le lezioni a cura di Margherita Rubino inaugurate il 17 luglio all’Orecchio di Dionisio, all’interno del parco archeologico della Neapolis. Gli incontri sono 5 nelle seguenti date: 17-24-31 luglio-7 e 31 agosto. Le lezioni sono tutte in programma alle 18;30 e, considerato il ridotto numero di posti all’Orecchio di Dionisio a causa dell’emergenza sanitaria, tutti gli appuntamenti saranno trasmessi in diretta streaming sulla pagina facebook della Fondazione Inda. Questo venerdì abbiamo avuto il piacere di poter seguire l’attore, regista, musicista e scrittore Moni Ovadia sul tema “Il poeta come eroe” spiegando magistralmente da Omero ai tragici e a Ghiannis Ritsos per tratteggiare epoche diversamente capaci di figurare cosa sia l’eroe. Ghiannis Ritsos è considerato uno dei più grandi poeti greci del ventesimo secolo, è stato proposto 9 volte, senza successo, per il premio nobel per la letteratura.

La sua poesia è stata spesso vietata in Grecia durante le fasi di regime autoritario per le idee di sinistra del poeta e la sua vicinanza al partito comunista greco. Ha scritto le poesie con un intento politico, servendo il comunismo con la sua arte.

Ovadia focalizza con accurata analisi la poetica di Ritsos leggendone alcuni versi delle sue poesie.“Questi 17 poemetti di quarta dimensione- spiega Moni Ovadia- sono, come posso dire, di una densità poetica, di una densità di pensiero, di una densità culturale in cui vive la Grecia si nel suo mito e nelle sue radici leggendarie della tragedia dell’epos ma questa Grecia entra nella grecità che Ritsos ha vissuto sulla sua pelle. Questo straordinario patrimonio prende una sua forza inimmaginabile attraverso un’operazione, che apparentemente non sembrerebbe pensata per dare forza, perché Ritsos riattraversa i grandi personaggi che abbiamo letto nell’Iliade, nell’Odissea, nelle tragedie ma le riattraversa con istanza ironica; ce li porta in una sorta di stanchezza dilatoria e di sfacimento poetico, di perdita, di quella distanza. Per cui, quando noi leggiamo ciò che dice Elena a Priamo, di come si mise a passeggiare nella sua quasi nudità esposta ai colpi degli Achei ma talmente sfolgorantemente bella che non avrebbero osato tirare un colpo di freccia su di lei, allora Ritsos la vede in quell’immagine sfolgorante e poi però ce ne racconta il disfacimento fisico, della presa di distanza dal suo stesso mito e nell’accettazione della sua umanità non più della sua bellezza mitica. Perché la bellezza mitica rimane eternamente tale? Perché il topos della bellezza del nostro tempo è Marylin Monroe? Perché è morta giovane, solo per questo. Ritsos vede questo disfarsi di tutte le caratteristiche dei miti per entrare dal mito nell’umanità. Agamennone il super arrogante, quello che scatena l’ira funesta di Achille, che arriva stanco, impolsito, dentro il suo palazzo che lo attenderà il destino che gli spetta e che dice abbandonandosi alla stanchezza prendete tutto, non voglio niente. Quel bottino per cui ha fatto fuoco e fulmini nel mito, nella poesia di Ritsos diventa, si disfa come qualcosa di inutile perché quando l’uomo riprende il suo ruolo nel mito trasforma il mito sia ironicamente sia anche con quello che è il destino dell’uomo, è in questo Ritsos è gigantesco.” Ovadia inoltre riflette sul modo di vivere dei Greci, la capacità di guardare per ore il mare girando fra le dita il Komboloi (tipico rosario greco oggi è spesso usato come scacciapensieri), la Grecia che Ritsos ha cantato, ha celebrato, ha amato e che Moni Ovadia si è nutrito e lui vede questa umanità alla fine vinta; l’umanità è stata sconfitta. “Noi siamo passati- conclude Moni Ovadia- da un popolo o da popoli o dalle genti ad una plebe televisiva. Adesso tocca ai giovani intellettuali riprendere le musiche tradizionali per cercare di tramandare questo ma quel mondo è finito perché non c’è stato nessun amore tra quel popolo per la sua lingua, per la sua cultura.

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